Naturalmente, queste interpretazioni complessive, anche se affascinanti, nascondono sempre il rischio di un eccesso di generalizzazione: è chiaro che, al di là dei fondamenti comuni, lo sport di oggi è molto lontano dai “giochi” del mondo antico, come dalle esibizioni di destrezza cavalleresca o di particolari attitudini fisiche (velocità, agilità, forza) del Medioevo. Oggi lo sport costituisce una realtà che coinvolge milioni di persone, e che richiede importanti strutture amministrative e organizzative, grandi investimenti in impianti e gestione, un’industria di settore con dimensioni multinazionali, un sistema di comunicazioni globale, un costante rapporto con la più avanzata ricerca scientifica e tecnologica. Non è dunque una semplice coincidenza il fatto che lo sport nel senso moderno sia nato tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, cioè contemporaneamente alla rivoluzione industriale: la maggiore disponibilità di tempo libero e ricchezza, l’innalzamento dei livelli culturali, la facilità delle comunicazioni, lo stesso miglioramento degli standard fisici della popolazione, meglio nutrita e curata, hanno trasformato il gesto atletico isolato e improvvisato, espressione istintiva di un’esuberanza naturale, in un’attività di massa sempre più organizzata, ricca e socialmente prestigiosa. Da noi, per esempio, lo sport organizzato nasce negli ultimi anni dell’Ottocento e si diffonde largamente nel corso del primo Novecento, in quella “età giolittiana” che corrisponde alla rivoluzione industriale italiana: la prima squadra di calcio fu il Genoa cricket, and football club, fondato a Genova nel 1893 dai residenti inglesi; il primo campionato fu disputato nel 1898, e fu naturalmente vinto dal Genoa; la federazione ciclistica italiana nacque nel 1885, e il primo giro d’Italia fu organizzato nel 1909; più o meno negli stessi anni conquistavano in Italia larga popolarità sport come la ginnastica, il podismo (ancora celebre è il nome di Dorandò Pietri, corridore di una leggendaria maratona alle Olimpiadi di Londra del 1908), il pugilato, la lotta. Viene naturale, a questo punto, chiedersi perché, di fronte a una realtà così appassionante e popolare, la letteratura abbia manifestato un interesse tutto sommato marginale, dedicando agli eventi e ai protagonisti dello sport uno spazio estremamente limitato rispetto alle dimensioni del fenomeno. Prima di tentare una risposta, dobbiamo precisare che la questione riguarda soprattutto la letteratura italiana, tradizionalmente estranea alle tematiche sportive che invece hanno esercitato un fascino ben più consistente su altre culture, in particolare su quella angolamericana che presenta una ricca tradizione al cui interno spiccano nomi di grandi scrittori come Dickens, Hemingway, Algren, Faulkner, autori di memorabili storie di sport.