Tutto questo, però, comporta un pericolosissimo “effetto collaterale”, ossia l’innalzamento anomalo della vischiosità del sangue che, a causa del gran numero di globuli rossi, perde di fluidità e diventa talmente denso da determinare alti rischi di emboli e trombosi. A loro volta, prodotti come gli anabolizzanti hanno provate potenzialità cancerogene, mentre le anfetamine inducono assuefazione e anomalie del sistema nervoso; come si vede, dunque, i rischi sono altissimi e sarebbe d’obbligo la massima cautela. Invece, la spinta a primeggiare e a vincere, la logica dei record, il miraggio della fama e della ricchezza hanno spinto all’uso indiscriminato di sostanze pericolose un numero sempre più alto di atleti, non solo nel mondo professionistico ma addirittura nell’ambito delle categorie dilettantistiche e giovanili. È evidente che si tratta di un fenomeno legato a un determinato tipo di cultura e di costume, di cui tutti siamo, in misura diversa, responsabili. Dobbiamo infatti ricordare che, se gli atleti si aiutano al di là del lecito con la medicina e con la chimica, ciò dipende anche da un pubblico see più esigente e avido di sensazioni forti, di eventi spettacolari, di situazioni estreme: se la tensione agonistica non è esasperata, se non c’è in programma qualche record da battere, se non è garantita la prestazione eccezionale, il grande pubblico non viene coinvolto, i mass media giornalistici e televisivi non “coprono” l’evento, gli sponsor non pagano, i soldi non girano. Ora, dato che non è possibile neanche ai più grandi campioni mantenersi costantemente ai massimi livelli di rendimento, è chiaro che gli atleti sottoposti a questo tipo di pressione sono in qualche modo “costretti” a ricorrere al doping se vogliono restare all’interno del grande giro che garantisce fama e soldi. Come si vede, dunque, siamo di fronte a un problema estremamente complesso, che non si risolve con interventi isolati e settoriali, anche se severi, ma rimettendo in discussione una scala di valori e un modello complessivo di società: quando il pubblico tornerà ad apprezzare lo sport nella semplice bellezza e nella naturalezza dei suoi gesti, al di là di ogni esasperazione spettacolare, allora anche gli atleti non si sentiranno più obbligati a essere a tutti i costi dei supermen, e torneranno a prevalere la lealtà e il rispetto per se stessi e per gli avversari, che sono la radice fondamentale della civiltà sportiva. Ma, purtroppo, questo obbiettivo sembra essere, per il momento, ancora assai lontano.