Lo investii, lo travolsi, gli camminai sopra e irruppi libero in un buco. Un dolore sordo mi trafiggeva la testa in contemporanea con ogni passo. Un braccio mi abbrancò alla vita, scivolò, mi cinturò di nuovo, e un pugno mi si sprofondò nel collo. Me lo trascinai dietro. Allora un altro mi prese intorno al naso e agli occhi, colle dita che esploravano dove far male, forzandomi a cadere in ginocchio. Arnie prese la palla e col suo grido trionfale di ragazzo si lanciò nella confusione di fango e di uomini, col suo corpo che cercava, come un tentacolo, un’apertura. Corse dieci metri al grido della folla, poi cadde nel mare di membra. Io stavo ancora in ginocchio, assorto in una strana rassegnazione. I denti posteriori mi battevano mentre mi tiravo su, le mani mi tremavano dal freddo, e mi disprezzavo per non provare odio contro l’uomo che m’aveva lacerato la narice. M’ero assuefatto a tutto ormai. Dieci anni di tutto questo, dieci anni di folla: bastava facessi un errore, un minimo errore soltanto, perché l’intera tragedia del vivere, dell’essere vivi, entrasse nella gola della folla e muggisse il suo dolore come un animale mutilato. Il grido, la rabbia della folla, echeggiò in alto e riempì la valle. Una sagoma venne verso di me nell’oscurità. Colsi la feroce e brillante bianchezza dei suoi occhi e dei suoi denti serrati dentro la maschera di fango che lampeggiava d’inutile ostilità. Scansò i miei preparativi per ritardarlo, virando oltre la mia portata. Allungai il piede e come quello incespicò presi lo slancio col pugno. Lo mancai e caddi giù fra un enorme fragore di folla. L’altro si riprese e continuò a correre. Corse fra i due pali . Frank mi raccolse, il fango copriva le mie lacrime. “Dov’è quel figlio di puttana dell’estremo?” volevo gridare. Ma potei solo contemplare incredulo le mie gambe che m’avevano tradito. 26 : superando quindi la linea di fondo e segnando una meta 26 fra i due pali