LEGGERE E CAPIRE IL CONTESTO L’Italia dopo la prima guerra mondiale Negli anni immediatamente successivi alla conclusione del primo conflitto mondiale l’Italia, benché vittoriosa, si trovò ad attraversare uno dei periodi più difficili della sua storia. La guerra aveva aggravato le già difficili condizioni in cui si trovava la società italiana, accentuandone gli squilibri e le ragioni di crisi. Inoltre, il gigantesco sconvolgimento determinato dagli eventi bellici aveva minato alle fondamenta i valori morali e la concezione della realtà su cui si era basato il mondo dell’Ottocento, dimostrando l’inadeguatezza delle vecchie strutture culturali, civili e politiche di fronte alle radicali novità della società industriale di massa sorta dalla guerra. Fra questi drammatici problemi va posta senz’altro in primo piano la “questione sociale”, costituita da quell’insieme di contraddizioni che contrapponevano le grandi masse lavoratrici contadine e operaie, costrette in condizioni di vita spesso miserabili e comunque sempre ai limiti della povertà, a una borghesia imprenditoriale e possidente che si presentava come una minoranza privilegiata sotto il profilo dei livelli economici, delle opportunità culturali, dei diritti politici e civili. La guerra però aveva spazzato via l’antica mentalità passiva e rassegnata, creando nei milioni di reduci che tornavano a casa dopo i quattro lunghi anni di combattimenti la coscienza dei propri diritti e l’aspettativa che venissero confermate le promesse di giustizia e uguaglianza ricevute al momento dell’entrata in guerra e rinnovate dai vari governi che si erano succeduti durante il conflitto. Grandi furono dunque l’indignazione e la rabbia quando ci si accorse che la situazione sociale non solo non accennava a cambiare, ma addirittura per molti aspetti era nettamente peggiorata: disoccupazione e inflazione rendevano sempre più difficili le condizioni di vita delle masse popolari, mentre minoranze senza scrupoli (i “pescicani”) si erano arricchite speculando sulle forniture di guerra; peraltro, i vantaggi attesi dalla vittoria si andavano rivelando pure illusioni, e l’Italia restava sul piano internazionale un paese privo dell’autorevolezza necessaria a difendere i propri interessi di fronte alle grandi potenze, come dimostrò il trattato di pace di Versailles. Era inevitabile che, di fronte a questo stato di cose, la voce delle opposizioni ottenesse sempre più ascolto anche nelle sue forme più radicali ed eversive: a sinistra crebbe il peso dei socialisti, nonostante la scissione che nel 1921 portò alla nascita del partito comunista; a destra, il movimento fascista, nato da pochi anni, ottenne sempre maggiori consensi applicando spregiudicatamente metodi violenti e intimidatori di lotta politica, a cui la sinistra rispondeva con grandiose manifestazioni di piazza e una ininterrotta serie di scioperi e agitazioni sindacali. Il centro liberale, rappresentante di quella borghesia moderata che aveva detenuto il potere fino ad allora, non fu in grado di fare fronte alle esigenze poste dal nuovo quadro politico, rispetto al quale le vecchie tattiche parlamentari si rivelavano incapaci di incidere; privo di un governo effettivo, percorso da scontri sempre più violenti ai limiti della guerra civile, il paese piombò di fatto nel caos. Di questa situazione, anche per l’indecisione e l’impreparazione delle sinistre, seppe approfittare il partito fascista guidato da Benito Mussolini che con un colpo di mano (la marcia su Roma del 1922) si impadronì del potere dando inizio a un regime dittatoriale a partito unico destinato a durare per venti anni.