Mi rispose: “Ferrari, giornate come questa, alla nostra età, non ne tornano molte; ricordatelo, e cerca di gustarle fino in fondo, se ci riesci”. In queste parole, che forse erano una umile confessione, era nascosto il dramma di quell’uomo fatto d’un sol fascio di nervi, il dramma di un padre che aveva visto morire entrambi i suoi figli adorati e che invano sperava di non dover attendere la morte in un letto. Era un solitario, un uomo amareggiato per la crudeltà con cui il destino lo aveva colpito negli affetti più profondi, tuttavia, e non suoni irriverente questa mia osservazione, non cessò mai dall’essere un sagace regista di se stesso . Pochi come lui conobbero la folla, capirono quello che la folla voleva, seppero alimentare il proprio mito. Ogni suo atto, ogni suo gesto era previsto e calcolato, pur negli spasimi di una vita di atleta lanciato agli estremi rischi. Arrivò fino al punto di stabilire, nel proprio testamento, il giro che la folla di visitatori delle sue spoglie mortali avrebbe dovuto compiere nel giardino della sua casa. Non appena mi giunse la notizia della sua fine partii per Mantova. Era un caldo pomeriggio d’agosto: l’11 agosto 1953. Nella fretta, mi persi in un dedalo di strade sconosciute della città. Scesi di macchina, chiesi a un negozio di stagnino la via per villa Nuvolari. Ne uscì un anziano operaio, che prima di rispondermi fece un giro intorno alla macchina, per leggere la targa. Capì, mi prese una mano e la strinse con calore. “Grazie d’essere venuto” mi bisbigliò. “Come quello là non ne nasceranno più”. 21 : un abile organizzatore della propria carriera. 21 sagace... stesso