Al pari di ogni altra manifestazione dell’attività umana, anche lo sport può essere fonte di comicità e indurre al sorriso o addirittura all’ilarità, come dimostrano i racconti raccolti in questa sezione. Tuttavia, occorre operare una distinzione che può apparire sottile, ma che è sostanziale: lo sport, di per sé, è sempre drammatico, in quanto non prevede soluzioni intermedie ma solo un’alternativa secca fra sconfitta e vittoria (e, in un certo senso, questo è ancora più vero per chi pratica una disciplina sportiva da solo, perché allora si misura con il più temibile degli avversari, cioè se stesso). Il comico, invece, nasce sempre dal compromesso, dalla mediazione fra ciò che dovrebbe essere e ciò che è, cosa impossibile nello sport, dove appunto o si vince o si perde (il caso del pareggio, previsto in alcune discipline come il calcio o il pugilato, è illusorio: in realtà il pareggio è composto dalla somma di tante piccole vittorie e piccole sconfitte). Dunque, se è possibile ridere di sport, ciò è dovuto a fattori esterni, sovrastrutturali, che non hanno niente a che fare con lo sport in sé, ma appartengono a caratteristiche dei protagonisti che sarebbero fonte di effetti comici in qualsiasi altro contesto: ad esempio, per restare ai racconti che qui presentiamo, l’abbigliamento grottesco di Fantozzi e del collega Fracchia è fonte di comicità indipendentemente dallo sport che essi intendono praticare, e cioè il tennis; allo stesso modo, fa sorridere non il gioco del calcio di per sé, ma il fanatismo politico di Don Camillo e di Peppone che trasformano una partita in uno scontro ideologico. La conclusione, insomma, è che non si ride dello sport ma, come al solito, dell’uomo.