La prima consiste essenzialmente nella scelta di un registro linguistico particolarmente serio e solenne: ebbene, se l’enfasi viene applicata a un contesto non appropriato, la contraddizione fra registro alto e contesto medio-basso produrrà un’impressione di sorpresa e di trasgressione delle aspettative che induce al riso. Un meccanismo analogo entra in azione nel caso dell’iperbole: essa consiste infatti nell’uso di espressioni volutamente esagerate rispetto alla verosimiglianza e al senso comune; la sproporzione fra la realtà e la sua rappresentazione ottiene, come nel caso dell’enfasi, l’effetto di sorprendere e spiazzare il destinatario del messaggio, inducendolo al riso. Occupiamoci infine brevemente di una variante della comicità, l’ironia. In estrema sintesi, essa consiste nell’affermare una cosa intendendo dire il contrario (“Era veramente elegantissimo!” detto di una persona vestita male). Ora l’ironia, per essere accolta, presuppone la collaborazione del destinatario che deve riuscire ad afferrare il senso reale della comunicazione nascosto sotto quello apparente. Se l’operazione riesce, il successo provoca un senso di superiorità rispetto all’oggetto dell’ironia e un senso di complicità fra emittente e destinatario del messaggio, legati da un’intesa che li solleva al di sopra degli altri: da qui, una soddisfazione e un compiacimento che, ancora una volta, si manifestano nel riso. TECNICHE NARRATIVE Fra le tecniche narrative più comuni per produrre effetti comici, oltre all’uso “mirato” di figure retoriche come l’enfasi e l’iperbole, si possono individuare numerosi altri meccanismi, fra i quali uno dei più comuni è costituito dall’iterazione”. Si tratta di un meccanismo espositivo estremamente semplice, consistente nel connotare un personaggio mediante un atteggiamento, un gesto o una frase che esso ripete immancabilmente ogni volta che entra in scena. Secondo il filosofo Henry Bergson (Il riso, 1900) l’essenza del comico risiederebbe proprio nella ripetitività. In effetti è facilmente verificabile come un gesto di per sé neutro acquisti una forte carica di comicità se viene puntualmente e meccanicamente replicato: è quello che attori e autori di teatro, ben consapevoli della carica di comicità insita nella ripetizione, chiamano in gergo il “tormentone”. Questo automatismo, riducendo l’uomo a una sorta di burattino condannato a perpetuare uno stesso comportamento, lo disumanizza privandolo della sua libertà e della sua dignità; secondo Bergson, quindi, il riso di chi assiste a questo fenomeno non sarebbe altro che una manifestazione di gioia e di sollievo per essere riuscito a evitare la peggiore sciagura che possa toccare a un essere umano, e cioè, appunto, lo smarrimento della sua umanità e la sua trasformazione in un vuoto involucro controllato da una volontà esterna. L’iterazione