“Io sono svizzera”. Erano arrivati. Al termine s’erano staccati dallo skilift, lui malamente, lei accompagnando con la mano l’àncora per tutto il giro. Lei si tolse gli sci, li mise ritti, dalla borsetta che portava alla cintola tirò fuori le pelli di foca e le legò sotto gli sci. Lui la stava a guardare, strofinandosi le dita gelate nei guantoni. Poi, quando lei prese a salire, le andò dietro. La salita dallo skilift alla cima del colle era dura. Il ragazzo con gli occhiali verdi ci dava dentro un po’ a spina di pesce, un po’ a gradini, un po’ arrancando avanti e riscivolando indietro, tenendosi ai bastoni come uno sciancato alle stampelle. E lei era già lassù che lui ormai non la vedeva. Arrivò al colle sudato, a lingua fuori, mezzo accecato dallo sfavillìo che si irradiava tutt’intorno. Là cominciava il mondo del ghiaccio. La ragazza bionda s’era tolta la giacca a vento celeste-cielo e la portava annodata alla vita. Anche lei s’era messa un paio di occhiali. “Là! Ha visto? Ha visto?”. “Cosa c’è?” faceva lui stordito. Era saltata una lepre bianca? Una pernice? “Ora non c’è più”, lei disse. Giù sopra la valle svolazzavano i soliti uccelli neri gracchianti dei duemila metri. Era venuto fuori un limpidissimo mezzogiorno e da lassù lo sguardo abbracciava le piste, i campi affollati di sciatori, di bambini con le slitte, la stazione dello skilift con la coda che s’era subito riformata, l’albergo, i pullman fermi, la strada che entrava e usciva dal nero bosco d’abeti. La ragazza s’era già slanciata per la discesa e andava e andava con i suoi tranquilli zig-zag, ora era già dove le piste erano più battute dagli sciatori, ma in mezzo a tutto lo sfrecciare di sagome confuse e intercambiabili la sua figura appena disegnata come un’oscillante parentesi non si perdeva, restava l’unica che si potesse seguire e distinguere, sottratta al caso e al disordine. 18 : senza segni caratteristici, simili le une alle altre 18 intercambiabili