Sport e poesia: c’è una relazione? Di primo impulso verrebbe da rispondere di no, che si tratta di due ambiti dell’esperienza umana così lontani fra loro da essere reciprocamente incomunicabili. Subito dopo, però, sorge un interrogativo: ma è possibile che sensazioni così vive e potenti come quelle che sa offrire lo sport sia a chi lo pratica che a chi vi assiste, non abbiano trovato una loro traduzione poetica capace di restituire in versi la loro intensità? E in effetti, se superiamo il luogo comune tipico di una concezione chiusa e arretrata dell’arte, in cui tutto ciò che implica fisicità e corporeità non possiede valore estetico, verifichiamo che la bellezza del gesto atletico è sempre stata, fino dalle origini, avvertita e apprezzata dai poeti: non è forse dedicato un intero libro dell’Iliade di Omero, il XXIII, al racconto dei giochi funebri in onore di Patroclo (pugilato, lotta, corsa a piedi, corsa delle bighe)? E un altro poeta dell’antica Grecia, Pindaro, non ha forse celebrato nelle sue odi i vincitori delle gare di Olimpia? E, per venire alla letteratura italiana, non è forse Giacomo Leopardi, poeta certo alieno per le sue infermità da ogni esercizio fisico, ad aver dedicato una canzone A un vincitore nel gioco del pallone? Se poi parliamo di poesia italiana contemporanea, allora gli esempi si infittiscono: Alfonso Gatto, Vittorio Sereni, Franco Fortini, Leonardo Sinisgalli, Umberto Saba, Giorgio Caproni sono i primi nomi che si presentano alla memoria, a testimoniare che fra sport e poesia, fra gesto atletico e rappresentazione lirica della realtà non sussiste quell’estraneità pretesa da un malinteso spiritualismo, e che la dolcezza, l’intimità e la finezza dell’universo lirico possono benissimo coniugarsi con il senso di gioia, di pienezza e di libertà che nasce dall’esperienza dello sport: le poesie di Umberto Saba, che riportiamo di seguito, ne sono una prova indiscutibile.