LEGGERE E CAPIRE IL CONTESTO La poesia di Umberto Saba Nel panorama della poesia italiana del Novecento la figura di Saba spicca come una presenza atipica e difficilmente inquadrabile in qualcuna delle grandi esperienze che caratterizzano il secolo, e tanto meno in una corrente specifica o in una scuola. È vero che questa fisionomia di “irregolare” è propria di molti protagonisti della cultura contemporanea (soprattutto nel campo della poesia), ma pochi altri letterati hanno coltivato con tanta coerenza e tenacia il mito della propria diversità, rifiutandosi ostinatamente di sospendere, anche per un momento, la loro vocazione alla marginalità. Umberto Saba, discriminato e costretto all’esilio durante il fascismo per le sue origini ebraiche, dopo la guerra non approfittò dell’occasione per pretendere un risarcimento e un inserimento, peraltro legittimo, fra i grandi protagonisti della cultura italiana, ma si mantenne fedele al progetto che aveva formulato già agli esordi, quello di una “poesia onesta”, depurata da ogni falsità e da ogni artificio, dedicata esclusivamente alla ricerca e alla diffusione della verità. La poesia di Saba insegue dunque un ideale di affettuoso e sincero colloquio, in cui il lettore è trattato come un amico al quale viene offerto il dono di una grazia raccolta e intima, da apprezzare e dividere in comune. Cronaca e ideale, affetti quotidiani e realtà universali, momenti in cui la vita si manifesta nella sua oscura potenza distruttiva e altri in cui assume la forma ammaliatrice delle “cose leggere e vaganti” (titolo di una raccolta del 1920) diventano tutti temi del Canzoniere di Saba, che osserva la realtà nel complesso delle sue infinite manifestazioni senza alcuna pretesa di bloccarla in una formula definitiva, ma, al contrario, adattando continuamente la fluidità della forma alla varietà dei contenuti. L’unico valore espressivo che viene costantemente e metodicamente perseguito è quello melico, ossia la musicalità morbida e avvolgente che circola nei versi, prodotta non da scoperti virtuosismi fonetici, ma da sottili combinazioni, da un gioco delicatissimo e assiduo di vibrazioni, timbri, ritmi. Una poesia inafferrabile, dunque, leggera e impalpabile, mutevole e iridescente, tanto da costituire un caso inimitabile e da rendere impossibile, come si è detto all’inizio, ogni suo inserimento in una tendenza o in una scuola istituzionalizzata: cosa di cui Saba, scontroso eremita volontario nella sua Trieste, certo non ebbe mai a rammaricarsi.