Le paste, infatti, erano spartite dalla credenza: dodici paste. Così Ugo, per punizione, rimase a casa, mentre i suoi genitori uscirono per andare al cinema. Per un poco, Ugo rimase in ascolto: qualche volta era accaduto che essi prendessero la macchina anche per andare al cinema, in caso di cattivo tempo. Ma era inutile sperarlo. Il tempo, evidentemente, non era brutto abbastanza, e ormai essi dovevano essere giunti in fondo al Viale dei Tigli. Alto nel silenzio della sera, si levò il fischio modulato di Pistone. A mano spinsero la macchina fino a cento metri dalla casa, poi il motore partì non appena Pistone tirò la leva della messa in moto. Rispose docile alle tre o quattro furiose accellerate che il ragazzo gli fece fare, poi si acquietò sul minimo. “Come un orologio”, sorrise soddisfatto Pistone, e ingranò con una certa solennità la prima. Presero una strada di campagna, tutta buche. “Cos’hai portato da mangiare?” domandò Pistone. Ugo rispose a fatica, perché aveva la gola chiusa dall’emozione. “Panini col salame e uova fresche”. “E ti sei dimenticato lo zucchero a quadretti?”. “No, ne ho una scatola da un chilo”. “È ciò che ci vuole... Tutti portano lo zucchero a quadretti...”. “Ho anche delle paste”, disse Ugo dopo una pausa. “Paste dolci?”. “Sì”. “Passamene una”. Ugo scartò il pacco e porse una pasta a Pistone, il quale, per non distogliere troppo a lungo le mani dalla guida, se la mise in bocca tutta intera. E così fece con la seconda e anche con la terza. “L’unica cosa che mi impensierisce”, disse a bocca piena”, sono le gomme: tuo padre avrebbe dovuto cambiarle, dopo quarantamila chilometri”. Si fece dare successivamente altre quattro paste, le inghiottì, quindi concluse: “Ma non devi preoccuparti, Pistone se la cava sempre”.