Soltanto che c’era una curva da fare e quello allargava e allargava, non riusciva a tenere più la macchina. Pistone se lo vide improvvisamente addosso. Diede un colpo di freno, ma sentì la macchina slittare paurosamente. Allora di forza, incastrò la seconda. Era l’unica cosa da fare, ma forse neppure il campione del mondo avrebbe potuto cavarsela, in quella circostanza. La macchina sembrò impazzire, col motore che ruggiva e le ruote che giravano sobbalzando sui ciottoli bagnati, sbatté contro le balle di paglia che proteggevano la curva, ne fece voltare due, infine si rovesciò su un fianco. “Quel cane”, disse Pistone. Non sentiva assolutamente nulla, soltanto sangue caldo che gli colava dal naso. E domandò: “Ugo, ti sei fatto male?” “La macchina”, gemette Ugo. “Non è colpa mia”, disse Pistone “le gomme erano troppo consumate”. Intorno a loro c’era già confusione di gente, poliziotti e carabinieri, e un fotografo scattava un lampo dietro l’altro. Li tirarono fuori con grandi esclamazioni di meraviglia e li caricarono su un’ambulanza che li portò via con dei lunghi sibili di sirena, come al cinema. “Nome e cognome”, insisteva uno dei poliziotti che erano saliti insieme a loro. Pistone fingeva d’essere svenuto, e Ugo forse era svenuto sul serio. Poi, all’ospedale, li caricarono di cerotti e una suora diede loro delle pillole per dormire. Quando si risvegliò, il mattino tardi, Pistone vide, a fianco del letto, il suo capofficina Modesto tutto assorto nella lettura di un giornale, dove campeggiava un titolo su mezza pagina: “Due ragazzi clandestini alla Mille Miglia”. E sotto: “Hanno corso Verona-Padova a oltre novanta all’ora!” 25 : un flash. 25 un lampo