INTRODUZIONE Un ragazzino fa rimbalzare un pallone in una piazzetta di periferia, uno sciatore che scende leggero da un pendio innevato, ventidue atleti che si affrontano davanti a cinquantamila persone, un uomo che corre nella solitudine degli altipiani, due giganti seminudi che si fronteggiano su un ring: che cosa hanno in comune questi personaggi e questi gesti, così diversi fra loro per contesto, spazio, tempo, atteggiamento? Assolutamente niente, direbbe un alieno proveniente da un ipotetico pianeta in cui non esiste la nozione di sport; anzi, probabilmente aggiungerebbe che si tratta di individui che soffrono di qualche disturbo mentale, perché da un punto di vista razionale, il comportamento sportivo è del tutto incomprensibile: per quale motivo una persona deve sudare fatica, rischiare di farsi male e perdere il suo tempo in attività che non arrecano nessun vantaggio materiale e non possiedono nessuna visibile finalità? In realtà, se lo consideriamo sotto questo profilo, lo sport è uno dei comportamenti umani più misteriosi, e il nostro alieno avrebbe senz’altro ragione a meravigliarsi di fronte alla gratuità del fenomeno (e il discorso vale anche per il professionismo: è vero che l’atleta professionista fa sport per guadagnare, ma resta da spiegare razionalmente la passione, del tutto priva di visibili scopi pratici, che folle immense in tutto il mondo dimostrano per gli eventi sportivi e per i loro protagonisti). Come ulteriore elemento di riflessione, possiamo anche aggiungere che, fra le espressioni culturali dell’uomo, lo sport è, come la guerra, la manifestazione più interculturale, multietnica, interclassista e diacronica che si conosca: tutte le culture ne hanno elaborato una loro versione, tutti i popoli e le classi sociali lo praticano, tutte le epoche storiche lo conoscono. L’accostamento alla guerra non è casuale: benché non sia questo il luogo per tentare una spiegazione di fenomeni così complessi, possiamo accogliere la suggestiva ipotesi che lo sport, come la guerra, risponda all’esigenza di dare sfogo agli impulsi aggressivi e agli istinti competitivi insiti nell’uomo. Lo sport sarebbe dunque una sorta di guerra ritualizzata, in cui la violenza viene regolata e mantenuta entro limiti accettabili e trasformata in gioco, producendo un effetto di appagamento sia nel praticante, sia, mediante un processo di “transfert” e di identificazione, nello spettatore.