Che cosa cambia quando lo sport, da svago disinteressato e libero esercizio del corpo e della mente, diventa mestiere, professionismo”? Alla questione si può rispondere in maniera moralistica, rimpiangendo il dilettantismo dei “puri” e richiamandosi allo spirito olimpico compendiato nella celebre formula “l’importante è partecipare”; ma, come tutte le posizioni rigide e incapaci di considerare punti di vista alternativi, anche questa è sbagliata. In primo luogo dobbiamo ricordare che forme di professionismo sportivo sono sempre esistite: cos’altro erano, se non professionisti, i gladiatori e gli aurighi protagonisti dei giochi del Circo nell’antica Roma, o gli stessi atleti di Olimpia, mantenuti a spese della collettività? Nella realtà di oggi, poi, il professionismo sportivo è un fenomeno che va considerato in maniera oggettiva come il prodotto inevitabile di una società di mercato in cui ogni cosa, e quindi anche la performance del campione, ha un prezzo e si trasforma in merce di scambio: insomma, se io sono capace di correre i cento metri in meno di dieci secondi, è legittimo che chieda di pagare un prezzo a chi vuole vedermi mentre compio questa impresa spettacolare. D’altra parte, va anche tenuto presente che è solo grazie al professionismo che lo standard complessivo delle prestazioni si è elevato a livelli impossibili da raggiungere da parte di un atleta che non si dedichi a tempo pieno alla propria disciplina: se dunque ci esaltiamo di fronte ai grandi spettacoli dello sport di vertice, non abbiamo poi il diritto di rimpiangere i tempi in cui si faceva sport solo per passione, perché sarebbe una recriminazione inutile e ipocrita: siamo proprio noi, infatti, a pretendere quello “sport-spettacolo” che solo il professionismo rende possibile. Ciò non significa, naturalmente, che si debba accettare tutto e che si debba tacere di fronte alle degenerazioni e agli eccessi di cui il mondo dello sport si rende sempre più spesso responsabile: la pratica del doping, il volume abnorme degli investimenti finanziari, il fanatismo che degenera in violenza, l’eccesso di presenza nell’informazione (soprattutto in quella televisiva) sono tutti aspetti da denunciare e da respingere fermamente.