42 ARGO 7 Scampato dal lago nero dell incubo,Argo torna ad approdare alle spiagge della vita. Ora ha «una fronte da pensatore , la pancia vuota più che mai, e un palato che richiede cibi delicati come «soffici batuffoli d oro «Il cane che mi mangiava le galline l ho preso disse il padrone del pollaio a quelli che giocavano in bottega e sentirono, ma non alzarono gli occhi perché non si sapeva come la partita andava a finire. Visto che non si muovevano rinforzò. «Gli ho spaccato la testa come una noce . Ma nessuno dei giocatori aveva galline e c era da stare a vedere a chi toccava pagare il vino. Nella selva intanto, sotto i castagni, il rigagnolo in cui era stato scaricato Argo aveva fatto di quel corpo un isola, deviando la poca corrente in due, come a ripartire ugualmente una carezza leggera, e gli raccontava le cose all orecchio. Diceva della caduta in un lago profondo, di un riposo imposto ma trovato buono, del buio più dolce della luce, e convinceva che non è affare vivere, ma lasciarsi morire1. Così discorrendo l acqua gli aveva lavato i peli fin dove arrivava, e s era tinta per la prima volta di rosso. Ma sul dorso e sul muso del cane erano già fermi gruppi di mosche di più famiglie, perché piccole, grosse, di diversi colori. Le aveva richiamate l odore del sangue ed erano ebbre per quell abbondanza, loro che non ne sentivano mai un goccio. Nella valletta non passava l uomo, non arrivavano i suoi animali, sicché poter succhiare era raro. Quando venne sera, piene da scoppiare, non restarono nel corpo che diventava sempre più freddo, ma scomparvero sotto foglie pelose, nelle cortecce un po rialzate degli alberi, nelle fen1 non è affare vivere, ma lasciarsi morire: l acqua che giungeva da lontano, aveva tante cose da raccontare, ma la più importante per Argo era certamente quella che lo convinceva che il meglio non è vivere, ma lasciarsi morire.