Sconvolto da un accesso di pazzia in cui crede di essere l’imperatore di Germania Enrico IV, il protagonista assume a partire da questo istante tale identità fittizia: vive in una finta reggia, circondato da paggi e guardie finte, abbigliati secondo i costumi medievali. La finzione prosegue anche quando, ormai rinsavito, egli potrebbe agevolmente abbandonarla e tornare ad essere quello che era prima di impazzire. Ma la morte di Belcredi, l’amico-rivale che aveva sposato la donna amata da Enrico e che Enrico stesso uccide, accecato dall’odio, gli impedisce definitivamente di ritornare alla realtà. Una realtà che egli peraltro continua a rifiutare, per quell’incapacità di vivere e di amare che – come abbiamo già detto – caratterizza tutti i personaggi pirandelliani.

Non meno radicale, è ad esempio, il rifiuto della vita e dei ruoli che essa ci impone, nel romanzo Uno, nessuno, centomila. Vitangelo Moscarda, il protagonista, fa una scoperta drammatica, si rende conto cioè che tutti – la moglie, gli amici, ecc. – si sono fatti di lui un’immagine diversa da quella che egli ha di se stesso. Come se di Vitangelo Moscarda, invece di uno solo, ce ne fossero tanti, quante sono appunto le persone che lo circondano, nessuno dei quali coincide però con il suo io autentico. Insieme a questa scoperta si fa strada in lui anche il desiderio di trovare la sua identità vera. Perciò decide di rinunciare a tutte le maschere, a tutti i ruoli: abbandona la moglie, gli amici, distribuisce i suoi averi ai poveri, si spoglia persino del proprio nome, perché designa un estraneo in cui egli non si riconosce più e si riduce a vivere in un ospizio, accanto a quegli stessi poveri che aveva beneficato.