Chiàrchiaro, il protagonista della novella, è un povero malcapitato, che, da un giorno all’altro, perde il posto di lavoro e viene escluso dalla comunità, perché creduto da tutti uno… iettatore. Ridotto sul lastrico insieme alla sua famiglia, egli decide di ricorrere alle vie legali per ottenere il riconoscimento ufficiale dei suoi poteri e il solo mezzo di sostentamento rimastogli, cioè… la patente di «iettatore». Dinanzi all’incredulo D’Andrea, il giudice incaricato di istruire il processo, Chiàrchiaro spiega i motivi di questa decisione: egli farà sua l’immagine che gli altri gli hanno cucito addosso, esercitando d’ora in poi il mestiere di menagramo alle spalle di chi gli ha distrutto l’esistenza. Come il D’Andrea, che svolge una professione per la quale si sente inadatto, anche Chiàrchiaro sembra una vittima del ruolo imposto dalla società. In realtà, fra i due personaggi c’è una profonda differenza: accettando il ruolo al quale è stato relegato, Chiàrchiaro infatti si trasforma da vittima in persecutore, un menagramo in piena regola, di cui tutti dovranno riconoscere poteri e prestigio. Diversamente dal giudice, un intellettuale tormentato da dubbi e da pensieri che lo paralizzano e gli impediscono di ribellarsi, Chiàrchiaro, con la sua semplicità, reagisce ribaltando la situazione a suo vantaggio e trovando una soluzione che, per quanto paradossale, gli permetterà di non soccombere in un mondo dominato dall’ingiustizia e dall’assurdo.