– Ma perché io voglio, signor giudice, un riconoscimento ufficiale della mia potenza64, non capisce ancora? Voglio che sia ufficialmente riconosciuta questa mia potenza spaventosa, che è ormai l’unico mio capitale65!
E ansimando, protese il braccio, batté forte sul pavimento la canna d’India e rimase un pezzo impostato in quell’atteggiamento grottescamente imperioso66.
Il giudice D’Andrea si curvò, si prese la testa tra le mani, commosso67, e ripeté:
– Povero caro Chiàrchiaro mio, povero caro Chiàrchiaro mio, bel capitale! E che te ne fai? che te ne fai?
– Che me ne faccio? – rimbeccò pronto il Chiàrchiaro. – Lei, padrone mio, per esercitare codesta professione di giudice, anche cosí male come la esercita, mi dica un po’, non ha dovuto prender la laurea?
– La laurea, sí.
– Ebbene, voglio anch’io la mia patente, signor giudice! La patente68 di jettatore. Col bollo. Con tanto di bollo legale! Jettatore patentato dal regio69 tribunale.
– E poi?

64 della mia potenza: del mio potere (di iettatore).
65 l’unico mio capitale!: l’unica risorsa che mi permetterà di guadagnarmi da vivere.
66 E ansimando… imperioso: e, respirando con affanno, allungò il braccio, colpì con forza il pavimento con la sua canna d’india e rimase per un bel po’ fissato (impostato) in quell’atteggiamento di ridicola superbia (grottescamente imperioso).
67 commosso: la reazione violenta del Chiàrchiaro, l’atteggiamento tragicomico con cui esibisce la sua fermezza nel portare avanti il suo assurdo progetto, potrebbero destare una reazione divertita in chiunque, ma non nel giudice D’Andrea, il quale vede anzi nel povero iettatore una vittima dell’ingiustizia e della stupidità umane e perciò prova per lui una fraterna commozione.
68 patente: il permesso da parte dello Stato di esercitare una determinata attività. Il Chiàrchiaro desidera l’autorizzazione ufficiale a praticare il mestiere di iettatore.
69 regio: reale. All’epoca in cui viveva Pirandello, l’Italia era uno Stato monarchico.