Rimasto vedovo improvvisamente, il professor Erminio Del Donzello si trova da solo a provvedere ai due figliastri, Nenè e Niní, nati dal primo matrimonio della moglie. Erminio è brutto e sgraziato, ma il patrimonio che i due piccoli hanno ereditato dai genitori gli garantisce una rendita discreta. Così, il modesto professore diventa subito, nonostante la sua goffaggine, un marito desiderabile per le donne nubili del vicinato, le quali fanno a gara nel colmare i bambini di baci e di carezze, senza tralasciare di istigarli contro la donna che il patrigno avrebbe sposato prima o poi e che sarebbe diventata la loro matrigna. Mal sopportando l’invadenza delle vicine, Erminio sposa invece una matura zitella, la mite Caterina. Ma la pazienza e la dolcezza di lei non riescono a domare i due piccoli che, aizzati dalle vicine, deluse nelle loro aspettative matrimoniali, le rendono la vita impossibile. Finché, sopraffatto dall’amarezza, Erminio si ammala gravemente e muore, portando dentro di sé questo atroce sospetto: la causa di tutto sono Nenè e Niní, i due bambini, i quali recano con sé un destino di morte, che colpisce a turno i componenti della loro famiglia. Prima è toccato ai genitori, adesso tocca a lui, poi toccherà certamente a Caterina e all’uomo che essa avrebbe sposato in seconde nozze.
La novella, con la sua morale amara, esemplifica la visione pessimistica che Pirandello ha dei rapporti sociali in genere e di quelli familiari in particolare. Una visione che è l’esatto contrario di quella della fiaba, e in cui dei bambini piccoli possono addirittura diventare aguzzini, persecutori inconsapevoli dei loro innocenti benefattori.