Come molti personaggi pirandelliani, anche il signor Anselmo è un umile impiegato, già avanti negli anni, che conduce una vita triste e deprimente, piena di doveri e scarsa di gioie. Ha una moglie isterica, afflitta da mali immaginari, che per di più lo perseguita con la sua assurda gelosia e, come se non bastasse, anche cinque nipotine, che il figlio, morendo, gli ha lasciato da mantenere.
Peggio di così! L’unico sfogo che il pover’uomo si concede è quello di ridere qualche volta, in sogno. All’improvviso, nel cuore della notte, Anselmo sbotta in una bella risatona. Una risata enorme, fragorosa, di cui, immerso nel sonno più profondo, egli non si accorge neppure. Se ne accorge invece la moglie, la quale approfitta dell’occasione per risvegliarlo bruscamente e rinfacciargli quella piccola libertà che ha osato prendersi… in sogno. Chissà di quali tradimenti si sarà reso responsabile il marito! Chissà di quali piaceri avrà goduto alle sue spalle, dormendo, afferma la moglie, mentre lui, che non ricorda nemmeno che cosa cos’abbia sognato, anzi è convinto di non aver sognato affatto, protesta invano la sua innocenza. Poi, una volta, finalmente, avviene il miracolo: Anselmo ricorda il sogno e si accorge, con grande delusione, che ciò che lo aveva fatto ridere era una stupidaggine. Proprio una stupidaggine, e non quella gran cosa che si aspettava. Il sogno, come la vita, non gli ha riservato grandi piaceri. Eppure, quella risata che lo riscuote, nel cuore della notte, è l’unico sfogo a cui può abbandonarsi: una breve parentesi di follia, che gli consente di uscire dal vicolo cieco della sua esistenza. Anche se solo per un attimo, però, e solo nel sogno.