Una madre si sveglia nel cuore della notte e si rende conto con orrore che il suo figlioletto, da sano e bello che era, si è trasformato inspiegabilmente in un mostricciattolo. Convinta che il bambino bello le sia stato portato via dalle streghe e sostituito con un altro, brutto e sgraziato, Sara Longo – la povera madre – si reca da Vanna Scoma, una donna che ha fama di essere «amica» delle streghe, per avere notizie del figlio «rapito».Vanna le rivela che il piccolo sta bene, ma che la sua salvezza dipende solo da lei: solo se Sara si prenderà cura del povero rachitico che le è stato lasciato in cambio, l’altro figlio (quello vero) potrà crescere sano e sempre più bello, e un giorno, chi lo sa, magari ritornare da lei. Così, nella speranza di riabbracciare il figlio scomparso, Sara si attiene fedelmente ai consigli di Vanna Scoma, finché un giorno non rimane di nuovo incinta e dà alla luce un bambino bellissimo, che in breve le farà dimenticare il primo, quello per cui si era tanto disperata, il piccolo rachitico, che ormai tollera solo per pietà. Questa novella, da cui Pirandello ricaverà un dramma, La favola del figlio cambiato, tocca un tema a lui molto caro: quello del rifiuto dei figli da parte dei genitori. Sara non riconosce come proprio quel piccolo infelice che, forse a causa di una paralisi infantile, si è trasformato di colpo in un mostricciatolo, e accusa ingenuamente le streghe di averglielo «cambiato». In realtà, la donna è incapace di accettare la diversità del figlio, la sua malattia e perciò lo rifiuta, invece di continuare ad amarlo lo stesso, come ci aspetteremmo da una madre. Persino i rapporti familiari, dunque, non sfuggono alla legge crudele che domina il mondo pirandelliano, dove il «diverso», il più debole, viene sempre emarginato, rifiutato, anche quando si tratta di un figlio.