Anche questa novella presenta molte analogie con la fiaba: c’è un bel gallo prigioniero, il povero Cocò, che rischia di finire in pentola, vittima di una padrona brutta e cattiva; un gruppo di gallinelle che si innamorano di lui, lo liberano e lo eleggono loro re, ripudiando il legittimo signore del pollaio. E infine, c’è l’altro gallo, il ripudiato dalle gallinelle, il quale ha tutti i requisiti del «cattivo» delle fiabe (è piccolo,brutto,nero) e,in quanto tale,è «giustamente» eliminato dal prestante Cocò. Potrebbe sembrare una storia finita bene, come nelle fiabe, appunto, dove la vittima, il condannato a morte, diventa in molti casi addirittura re. Ma, a ben considerare, la morale di Pirandello non è così semplice e lieta, e la liberazione di Cocò avviene a discapito del gallo spennacchiato, di nulla colpevole se non di avere difeso la sua comunità rivendicando i propri diritti di «capofamiglia». Ciò significa che tra il mondo degli animali e la società degli uomini non c’è molta differenza, perché in entrambi vale la legge del più forte: è sempre il più dotato, il più bello, cioè il più ben fornito di risorse dalla natura, ad avere la meglio sui più deboli e sugli sfortunati.