Ciàula è un «caruso», uno dei tanti manovali che prestavano la loro opera al servizio degli operai nelle zolfare siciliane. È anche un povero «scemo», senza famiglia e senza casa, che non possiede niente, se non quei laceri vestiti che indossa. Una volta, egli è costretto a rimanere in miniera oltre l’orario consueto di lavoro, per ultimare un carico di zolfo. Ciàula, che si trova a suo agio nell’oscurità protettiva della zolfara, ha invece una gran paura del buio notturno e trema al solo pensiero di ritrovarsi lassù, nel mondo «di sopra», dove tutto è ormai avvolto nel silenzio e nelle tenebre. Ma fuori, nel cielo, è spuntata una bella luna, che illumina, con la sua luce, l’oscurità tutt’intorno. Di fronte a quello spettacolo imprevisto, Ciàula cade in ginocchio e si mette a piangere, sorpreso dalla dolcezza e dalla consolazione che all’improvviso sono sorte in lui.
Questa novella, ambientata in Sicilia, offre uno spaccato impietoso e realistico della vita degli operai delle zolfare, costretti a lavorare in condizioni tragiche, senza diritti, né dignità. Di essi, Ciàula è sicuramente il più meschino, non solo perché è un «caruso», cioè un semplice manovale, ma anche perché è un minorato psichico, oggetto di scherno e di derisione da parte dei suoi stessi compagni.
Eppure, come succede in molte fiabe, è proprio al povero idiota, al più infelice di tutti, che tocca il premio finale. La scoperta della luna è infatti un premio inestimabile, perché libera Ciàula dal terrore del buio notturno. Ma questa storia ha anche un significato simbolico: essa dimostra che ogni uomo, anche il più misero e sfortunato, può riscattarsi dalla sua infelicità, quando abbandona, anche solo per un istante, il peso dei doveri, dei rapporti sociali, e si immerge nella natura libera, estranea ai dolori e alle miserie della storia.