C’erano, in mezzo alla folla dei fedeli raccolta in chiesa, due giovani mattacchioni, piuttosto scaltri, che si chiamavano, l’uno Giovanni del Bragoniera e l’altro Biagio Pizzini. Costoro,dopo aver riso molto della reliquia del frate, sebbene fossero suoi amici e compagni di baldorie, decisero di fargli un bello scherzetto. E, avendo saputo che frate Cipolla quel giorno era a pranzo in casa di un amico, approfittando dell’occasione, si precipitarono all’albergo dove alloggiava, con questo piano: Biagio avrebbe dovuto distrarre il servo del frate, mentre Giovanni rovistare nella sua stanza e trafugare la penna dell’arcangelo. Aveva frate Cipolla un servitore, che alcuni chiamavano Guccio Balena, altri Guccio Imbratta, e altri ancora Guccio Porco, il quale era più brutto delle facce dipinte da Lippo Topo9. Di lui, frate Cipolla diceva spesso, scherzando con i suoi compari: «Il mio servitore ha nove qualità: è balordo, sudicio, bugiardo, negligente, disobbediente e maldicente; trascurato, smemorato e scostumato. Senza contare gli altri suoi difettucci, che, ad ogni buon conto, è meglio tacere. Ma la cosa più buffa è che costui, dovunque vada, vuol ammogliarsi e metter su famiglia. E, con quel barbone unto e bisunto e pidocchioso che si ritrova, ha il coraggio di credersi così bello e aitante, che tutte le donne, appena lo vedono, s’innamorano di lui.
E, se lo lasciassi andare, parola mia, farebbe il cascamorto con tutte le femmine che incontra, perdendo dietro a tutte la cinghia dei pantaloni».
A costui, dunque, prima di lasciare l’albergo, frate Cipolla si era raccomandato: «Attento, Guccio, che nessuno entri nella mia stanza e tocchi le cose mie, specialmente le bisacce dove si trovano le reliquie. Capito?».
9 Lippo Topo: pittore stravagante, di scarso talento, famoso ai tempi del Boccaccio per le sue facezie e i tiri bizzarri.