Tofano, monna Ghita e la pietra nel pozzo (dal racconto di Lauretta) Uno dei tipi più interessanti che compaiono nella galleria dei personaggi del Decameron è quello del geloso. Una figura che si presta, non meno dell’ingenuo e dello sciocco, a scherzi e beffe di ogni genere. È il caso di Tofano, un riccone dedito al vizio del vino che, pur avendo una moglie bella e irreprensibile, è afflitto da una morbosa gelosia e si attira perciò meritatamente il castigo della consorte, donna scaltra non meno che bella, la quale troverà presto il sistema per guarire il marito dalla sua malattia. Anche in questa novella, Boccaccio non assume un atteggiamento moralistico, non condanna la moglie che tradisce il marito, perché in questo caso si tratta di un tradimento indotto, a cui la donna si abbandona spinta dai maltrattamenti e dalla gelosia persecutoria di Tofano. Anche in questo caso, la simpatia di Boccaccio va naturalmente al personaggio che sa giocare meglio con la sua astuzia ai danni dello sciocco e del balordo, cioè di Tofano, che finisce per essere vittima della sua stessa ingenuità. Tanti e tanti anni or sono viveva ad Arezzo un uomo, che si chiamava Tofano ed era molto ricco. Costui aveva una moglie, monna Ghita, che era fedele e onesta come nessun’altra, ma Tofano, pur non avendone motivo, la tormentava con un’assurda gelosia, e il perché non lo sapeva neppure lui. Ghita, che era una donna paziente, all’inizio cercò di sopportare e di comprendere i motivi di quella gelosia, ma invano.