Nessuno poteva dirsi al sicuro: il morbo colpiva tutti, giovani e vecchi, adulti e bambini, ricchi e poveri, senza distinzioni. Dapprima crescevano dei piccoli bubboni⁴, detti gavoccioli, sotto le ascelle o in altre parti del corpo, che potevano raggiungere la grandezza di una mela oppure di un uovo. Dopo di che cominciavano a spuntare macchie scure, simili a lividi, un po’ dappertutto, sulle braccia, sulle cosce, talvolta grandi e rade, talaltra più minute e frequenti. E questi sintomi erano indizio di morte certa, giacché, un po’ per l’ignoranza dei medici un po’ per l’implacabilità del male, non c’era modo di salvarsi e pochissimi erano i fortunati che scampavano. Inoltre, la peste era contagiosa e si trasmetteva facilmente, da un ammalato a un sano, come il fuoco, in un attimo, si appicca alle cose unte o secche. Bisognava stare alla larga dagli appestati, astenersi dal toccare i loro abiti e tutte le loro cose, perché anche un minimo contatto bastava a trasmettere il malanno.
La cosa più incredibile però era che la peste non si propagava soltanto da uomo a uomo, ma anche dagli uomini agli animali. E questo posso ben dirlo io, che l’ho visto con i miei occhi. Un giorno, infatti, vidi due maiali rovistare col muso fra gli stracci di un pover’uomo morto di peste: per un po’ li annusarono, li scossero ben bene con i denti, finché di colpo furono presi da atroci convulsioni, come se avessero bevuto un veleno, e caddero fulminati tutti e due, sopra gli stracci di quel malcapitato. Questo ed altri casi simili avevano contribuito a diffondere il panico fra la popolazione. Ormai, per tutti, valeva un’unica regola: evitare il contatto con gli infermi e con le loro cose; così infatti ciascuno credeva di scampare al malanno e procurarsi la salvezza. Che ingenuità! In questa totale assenza di certezze, ognuno faceva di testa sua. C’era chi pensava, ad esempio, che per evitare il contagio bastasse vivere separati da tutti e, in special modo, usare moderazione, sia nei cibi sia negli altri piaceri: nutrirsi bene, ma con misura, non abusare di vini e di liquori e soprattutto sfuggire il contatto e persino la vista dei malati. Altri, al contrario, preferivano darsi alla pazza gioia e soddisfare ogni loro desiderio: mangiare e bere smoderatamente, fare baldoria nelle taverne, dal mattino alla sera. Tra questi due estremi, c’erano poi coloro che seguivano, per così dire, una terza via: non erano moderati come gli uni, ma neppure sfrenati e licenziosi⁵ come gli altri. Non si isolavano dalla società, ma giravano per strada con in mano fiori oppure erbe odorifere, che annusavano di continuo, credendo con questa precauzione di tenersi alla larga dal contagio. Ma la cosa più grave di tutte era che, in tanta afflizione e miseria, nessuno si preoccupava più di rispettare le leggi, né quelle umane, né quelle divine.

4 bubboni: gonfiori, tumori.
5 licenziosi: viziosi, sregolati.