Calandrino, il quale vedendo arrivare monna Tessa, era rimasto più morto che vivo e non osava fiatare, né alzare un dito per difendersi, tutto graffiato e spelacchiato, raccolse il suo berrettuccio, e cominciò a pregare la moglie di non urlare più, per carità, perché quella ragazza era l’amica di Filippo, il figlio del padrone:
«E che m’importa?», rispose la donna irriducibile e ricominciò a tempestarlo di botte. Nel frattempo, Bruno e Buffalmacco, dopo aver riso a crepapancia insieme a Filippo e alla Niccolosa, fingendo di arrivare allora allora, attirati dal baccano, presero monna Tessa e la separarono di forza da Calandrino. Ci volle del bello e del buono per convincere la donna a rappacificarsi col marito, ma alla fine, dopo molte parole, ci riuscirono. Monna Tessa, dunque, si calmò e il povero Calandrino, tutto pesto e mortificato, si ritirò con la coda fra le gambe: «Torna a Firenze e non farti più vedere», gli disse Bruno prendendolo in disparte, «perché Filippo è molto arrabbiato e se ti mette le mani addosso, peggio per te!».
E così, Calandrino, triste e dolorante per le botte che aveva preso, al suo fervente amore pose fine, dopo aver dato molto da ridere ai suoi compagni, a Filippo e alla Niccolosa.