Il servo prese la neonata e riferì a Gualtiero la risposta di Griselda: «Che donna ammirevole, e com’è coraggiosa!», pensò meravigliato. Poi mandò la bambina a una sua parente di Bologna, affinché la allevasse e le desse una buona educazione, raccomandandole di non rivelare mai a nessuno, per nulla al mondo, di chi fosse la figlia. Passò qualche anno e Griselda diede alla luce un figlio maschio. E anche stavolta Gualtiero decise di metterla alla prova; andò da lei e le parlò in tono sprezzante: «Donna, i miei sudditi si lamentano, perché non sopportano l’idea che un nipote di Giannucolo, dopo la mia morte, diventi loro signore. Dunque, se non voglio che mi scaccino, penso che dovrò fare ciò che ho già fatto un’altra volta. E non è escluso che, prima o poi, non sia costretto a ripudiarti e a prendere un’altra moglie».
Griselda lo ascoltò pazientemente e così gli rispose: «Signor mio, fa’ pure ciò che ti sembra giusto e agisci nel tuo interesse, senza pensare a me, perché io sono contenta solo se sei contento tu». L’indomani Gualtiero ordinò a un servitore di andare da Griselda a prendere il bambino e, dopo aver convinto la moglie di averlo fatto uccidere come la figlia, lo mandò alla sua parente di Bologna, affinché lo allevasse. Anche stavolta, la povera marchesa non proferì parola, né lasciò trapelare dai suoi gesti la minima emozione, al punto che Gualtiero, se non avesse saputo che era una mamma amorosissima e molto affettuosa verso i figli, l’avrebbe giudicata una madre snaturata. Ma i suoi sudditi, credendo che egli avesse davvero fatto uccidere i figli, lo biasimavano aspramente e lo reputavano tutti un uomo crudele, mentre alla povera marchesa andava la compassione e la solidarietà generali. Non c’era nessuno, in tutto il marchesato, che non la compiangesse, specialmente le donne. Ma Griselda non si lamentava mai e, se talvolta le capitava di trovarsi con qualche gentildonna, che la compativa per la perdita dei figli, lei rispondeva asciutta asciutta:
«Se questa è la volontà di mio marito, che li ha generati, a me sta bene!», e nient’altro.