Gualtiero, come sappiamo, aveva fatto allevare i suoi due figli a Bologna, presso una parente, moglie di uno dei conti di Pánico.
Orbene, proprio in quei giorni egli mandò a chiamare il marito di questa gentildonna, chiedendogli di accompagnare a Saluzzo la figlia, una ragazza dodicenne, che era la creatura più bella mai vista al mondo, e il figlio, un ragazzetto più piccolo, di circa sei anni. «Mi raccomando», gli aveva chiesto Gualtiero, «voglio che i miei figli siano scortati da un bel seguito di dame e cavalieri. E se qualcuno ti chiederà chi è la ragazza, risponderai che è la mia promessa sposa e che la stai accompagnando a Saluzzo per le nozze, senza rivelare a nessuno la sua vera identità».
E così fu: il conte si mise in viaggio con i due ragazzi e un gran corteo di dame e gentiluomini, come gli aveva chiesto il marchese, e giunse a Saluzzo il giorno fissato per le nozze. Naturalmente, la notizia del matrimonio si era diffusa in tutto il marchesato e le strade brulicavano di gente, curiosa di vedere la nuova marchesina. A palazzo, tutti erano pronti a riceverla, dal primo gentiluomo sino all’ultimo dei servi, e tra loro anche la povera Griselda. A dire la verità, le donne avevano pregato Gualtiero di risparmiarle questo dolore e di evitarle l’incontro con la sposa o, almeno di farle indossare un abito più decente, ma lui, anche quella volta, era stato inflessibile. E così Griselda, con indosso i suoi miseri cenci di contadina, era andata incontro alla nuova marchesa dicendole: «Benvenuta, mia signora». Dopo di che, gli invitati sedettero a tavola ed ebbe inizio il banchetto. Naturalmente gli occhi degli uomini erano puntati sulla marchesina e tutti dicevano che Gualtiero ci aveva guadagnato molto nel cambio. Anche Griselda non risparmiava i complimenti alla bella sposa e lodava molto anche il suo fratellino, che non le pareva meno grazioso.