E lui, senza scomporsi: «Quando sarà il momento, Ghino verrà a trovarvi. Ora state tranquillo e pensate solo a guarire». Così dicendo, se ne andò e non vi tornò che il giorno successivo portando le solite fette di pane abbrustolite e la buona vernaccia, che l’abate affamatissimo divorò con grande appetito: «Messere», gli domandò allora Ghino trattenendo un sorriso, «il mio padrone vorrebbe sapere se la vostra salute è migliorata».
E l’abate: «Dite pure al vostro padrone che non sono mai stato meglio in vita mia e che il mio unico desiderio adesso è quello di mangiare». E così, Ghino gli fece preparare una bella camera dove allestì un pranzo magnifico, a cui invitò le persone del seguito dell’abate e molti gentiluomini che vivevano nel castello. Poi andò dal prelato e gli disse: «Ora che siete guarito, è tempo di uscire dall’infermeria», e lo accompagnò nella bella sala dove lo lasciò a pranzare con gli altri ospiti. All’abate non sembrava vero, dopo tanto digiuno, di poter finalmente mangiare tutto quel che voleva e intanto, mentre mangiava, si sfogava con i suoi: «Oh, quel Ghino, mi ha tenuto a stecchetto per tanti giorni. Qualche fetta di pane abbrustolito e un bicchiere di vernaccia, niente di più: ecco qual era mio pranzo quotidiano!». Le persone del suo seguito, tutte meravigliate, gli dissero invece che erano state trattate benissimo e che Ghino non gli aveva fatto mancare nulla, né cibo né bevande. Dopo di che, trascorso qualche giorno, in cui l’abate poté rifocillarsi secondo i suoi desideri, Ghino fece raccogliere in una sala tutte le ricchezze che il prelato aveva portato con sé, insieme alla gente del suo seguito,quindi andò da lui e gli domandò come stava e se si sentiva in grado di cavalcare: «Mi sento in ottima forma e starei ancor meglio, se fossi fuori di qui», rispose l’abate.
Allora Ghino lo accompagnò nella sala, dove erano radunati i suoi bagagli e le persone del suo seguito e gli disse: «Guardate un po’, se vi manca qualcosa».