«Certo, non potrei biasimarti per questo, figlio mio. Ma non è che, per caso, qualche volta, la rabbia ti ha spinto a insultare il prossimo, o – Dio ci scampi! – a uccidere qualcuno?».
«Ma per chi mi avete preso, padre?», sbottò ser Ciappelletto indignato. «Queste cose le fanno i furfanti, i criminali! Io, tutt’al più, se avessi visto qualcuno fare un gesto del genere, gli avrei detto:
«Va’, e che Dio ti converta!».
E il frate: «Che tu sia benedetto, figlio mio! Ma dimmi un po’: hai mai giurato il falso o hai mai sparlato di qualcuno?».
E Ciappelletto: «Messere14 sì, una volta ho detto male di un uomo».
«Ah sì, e di chi?».
«Di un mio vicino, che aveva il vizio di picchiare la moglie, specie quand’era ubriaco. E così io sparlai di lui ai parenti della donna, tant’era la pietà che provavo per quella poverina».
«E senti un po’, giacché facevi il commerciante», proseguì il frate, «hai mai ingannato qualcuno in vita tua, come fanno i mercanti15?».
«Gnaffe16 sì, padre buono», rispose Ciappelletto, «perché una volta, se non ricordo male, un uomo mi pagò per delle stoffe che gli avevo vendute. Io, sul momento, presi i denari senza controllarli, perché mi fidavo, ma, giorni dopo, ricontandoli, mi accorsi che quell’uomo mi aveva dato qualche moneta in più. Io lo cercai dappertutto, per restituirgli i soldi, ma, non trovandolo, li diedi in elemosina».
«Bene, bravo!», soggiunse il frate e stava già per dargli l’assoluzione, quando ser Ciappelletto, quasi senza fiato, gli fece segno di accostarsi: «Messere, ho ancora qualche peccato da confessare».

14 Messere: signore.
15 hai… mercanti?: nella società medievale, la figura del mercante non godeva di buona reputazione, ma veniva considerata quasi alla stessa stregua dell’usuraio.
16 Gnaffe: in fede mia.