«E brava!», esclamò Pasquino e rideva con i suoi begli occhi verdi, sgranati, della trovata di Simona e, mentre rideva, strappò una foglia da un cespuglio di salvia, che stava dietro di lui e, con quella, prese a strofinarsi i denti e le gengive dicendo: «Lo sapevi che non c’è come la salvia per pulire alla perfezione denti e gengive?». Simona lo guardava incantata e stava già per strappare anche lei una fogliolina da quella pianta, per ripulirsi i denti come Pasquino, quand’ecco che il ragazzo cominciò a impallidire.
«Sei bianco come uno straccio, che cos’hai?», gli domandò lei preoccupata.
Pasquino si premeva la pancia, facendo smorfie di dolore: «Mi fa male, mi fa male…», stava per aggiungere «lo stomaco», ma una fitta di dolore, più lancinante delle altre, gli impedì di terminare la frase.
«Non ci vedo più!», riuscì ancora a dire, mentre Simona, disperata, gli sbottonava il colletto della camicia, per farlo respirare.
E quelle furono le sue ultime parole, perché, in capo a due minuti, il poveretto spirò.
«Oh, amore mio, anima mia, perché non mi rispondi? Dimmi su, che cos’hai?», gridava Simona fra le lacrime, scuotendo dolcemente il corpo senza vita del ragazzo e baciandogli i riccioli neri, sparsi sull’erba. Lo Stramba e la Lagina, che erano andati ad amoreggiare poco lontano, sopraggiunsero subito a quelle grida e trovarono Simona disperata che si strappava i capelli, urlando e il povero Pasquino riverso a terra, con il corpo tutto gonfio e pieno di macchie scure: «Cosa gli hai fatto, brutta stregaccia, eh?
Lo hai avvelenato, non è vero, dillo!», gridò allora lo Stramba, strattonando Simona per un braccio. La ragazza protestava, piangendo, che non aveva fatto niente e che lui si era strofinato i denti con una foglia: «Ecco, una foglia di quel cespuglio lì».
E lo Stramba: «Non è vero, non è vero, lo hai avvelenato, confessa!», insisteva.