Boris Pahor Un atto di Umanità La responsabilità dei crimini atroci perpetrati dai nazisti è da addebitarsi soltanto alle alte gerarchie del partito, in particolare al loro capo, oppure ricade su qualsiasi cittadino tedesco abbia accettato senza ribellarsi gli ordini che gli venivano impartiti? una domanda, questa, che i sopravvissuti al Lager non possono fare a meno di porsi, pur sapendo che una risposta è impossibile. E allora non resta che domandarsi se qualcuno dei carcerieri abbia mai mostrato perlomeno un barlume di pietà nei confronti delle sue vittime. Scavando nella memoria, l autore del brano riesce a riportare alla luce un episodio in cui un giovane militare tedesco ha compiuto nei suoi confronti un gesto di simpatia, quasi di stima. Non è molto, certo, ma forse anche questa minima eccezione può bastare a mantenere viva la fiducia nel genere umano. Boris Pahor (Trieste, 1913) è uno dei più rappresentativi scrittori di lingua slovena. Laureatosi a Padova, insegnò Letteratura italiana e slovena nella città natale fino allo scoppio della guerra, quando venne arruolato nell'esercito italiano e mandato sul fronte libico. Tornato a Trieste dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, si unì ai partigiani sloveni che operavano nella Venezia Giulia, ma fu arrestato dai tedeschi. Cominciò così la sua esperienza nei Lager, che si snodò attraverso diverse tappe, dapprima in Francia (Natzweiler-Struthof) e poi in Germania (Dachau, Bergen-Belsen). Nelle sue opere ripercorre gli avvenimenti di cui è stato testimone e vittima (Necropoli, 1997; Il rogo nel porto, 2001; La villa sul lago, 2002; Il petalo giallo, 2004). Da: Boris Pahor, Necropoli, Roma, Fazi Editore, 2008, traduzione di Ezio Martin. 219