VIVERE NEL LAGER e te ne davano di santa ragione. Alcune cadevano per terra e morivano. Loro ti controllavano sempre. Quando si organizzava4 qualche pezzo da vestire, magari una maglietta o qualcosa, al ritorno tornavamo dal campo ci facevano spogliare nude. Ci facevano mettere sul braccio destro quello che avremmo dovuto avere addosso e quello che era in più lo portavano via dopo averci picchiate. Noi quegli stracci li compravamo per un pezzo di pane, davamo la cena per un indumento qualunque, per proteggersi dal freddo. Ma ciò che ti procuravi durava al massimo due o tre giorni perché dopo ci controllavano. Se qualcuna di noi riusciva a prendere una patata, o qualcosa da mangiare, loro la trovavano. Un giorno avevano trovato non so se una o più patate e tutta la baracca ha dovuto stare in ginocchio tutta la notte tenendo dei mattoni in mano con le braccia alzate. [ ] Noi vivevamo alla giornata, si pensava di arrivare alla sera e mai abbiamo pensato al giorno dopo! Noi eravamo completamente svuotate di tutto, non eravamo più delle persone normali, gente normale. Non ci interessava più niente di niente! C era una mia amica che era entrata due mesi dopo di me ad Auschwitz. Lei mi guardava e mi diceva: «Non ti conosco . «Ma come non mi conosci? Andavamo a scuola assieme! «Come? Sei tu? In questo stato sei ridotta? «Sì, quando sarai da due mesi dentro, diventerai come me! «No! Come fai? Non vedi ? . Non ci credeva, era in campo solo da un paio di giorni. «Sì , vedo dicevo io. Lei chiedeva: «Ma non ti fa niente? «E cosa vuoi che mi faccia? Ormai non mi interessa più niente! «Ma sai che moriremo tutte? «Lo so . «Ma così parli? «Così parlerai anche tu. Quando sarai da due mesi parlerai anche tu così! . A me non interessava proprio niente se quello stesso giorno mi avessero ammazzata. Beata l ora! A me non interes4 si organizzava: ci si procurava. 84