Marco è amareggiato, tanto più che, a breve distanza l’uno dall’altro, muoiono suo padre e suo zio, gli unici in grado di confermare le sue parole. Prende l’abitudine di compiere lunghe navigazioni nell’Adriatico, per sfuggire alle male lingue che lo perseguitano in città. Ma un pericolo ben più concreto si profila nel frattempo: la guerra tra Venezia e Genova, che dura, tra alterne fortune, fin dall’inizio del secolo, entra adesso in una fase critica, tanto che le navi genovesi arrivano nell’Alto Adriatico, cioè a poche decine di chilometri da Venezia. Si combatte una difficile battaglia navale presso l’isola di Curzola, nel 1298: vincono ancora i genovesi e Marco viene preso prigioniero con molti altri e portato a Genova.
Sembra la fine della sua fortuna: egli, che era passato indenne attraverso tante avventure nell’Oriente misterioso, ora è rinchiuso in una cella di Palazzo San Giorgio, senza poter prevedere se e quando ritroverà la libertà. Ma è proprio lì, durante questa prigionia, che incontra uno scrittore pisano già famoso, Rustichello. Non è chiaro se Marco abbia dettato al suo compagno il testo di un libro che descrivesse le sue avventure presso il Gran Khan, o se invece gli abbia affidato addirittura un manoscritto, con il compito di tradurlo in francese, che allora era la lingua letteraria più rispettata, dopo il latino.
Resta il fatto che, quando Marco viene liberato, nell’estate del 1299, l’opera è compiuta e si intitola Divisament dou monde, cioè Descrizione del mondo. Polo ritorna a casa e riprende la sua attività di mercante, ma non si sposta più da Venezia. Si sposa con Donata Badoèr e ben presto la famiglia si arricchisce di tre figlie: Fantina, Bellela e Moreta. In tanta attività, Marco non ha però dimenticato il suo libro: si occupa anche di farlo conoscere, inviandone copie ad alcuni personaggi potenti della sua epoca.
La morte lo coglie nel 1324, quando ha ormai settant’anni che, per l’epoca, sono un’età molto avanzata. È sepolto nella chiesa di San Lorenzo, accanto al padre, ma le tombe di entrambi vanno perdute nel corso del Cinquecento, quando l’edificio viene completamente ristrutturato.