«Così pensavo anch’io. Proprio in Catai ho scoperto che l’elemosina è tenuta in gran conto sia da noi cristiani, sia dai musulmani, sia da questi bacsi. È una cosa che fa riflettere, non ti pare?
Non sarà che le differenze tra le religioni e le razze sono più apparenti che reali? E poi ci sono gli astrologi: essi interrogano senza posa il cielo, studiano la posizione delle costellazioni nelle varie stagioni e le varie combinazioni in cui si dispongono. Segnano tutto sulle loro carte e dicono di essere in grado di prevedere quello che avverrà durante l’anno a venire. Così, chiunque si imbarchi in un’impresa, che sia un guerriero che sta per partire per una conquista o un mercante che vuole raggiungere una terra lontana, tutti si recano da questi astrologi e li interrogano. Essi si fanno dire il giorno e l’anno della loro nascita, poi consultano gli appunti, confrontano le carte stellari e annunciano se l’impresa riuscirà o meno, quali difficoltà potrà incontrare e il modo per superarle».
«È questa la loro religione?»
«No! Questa è astrologia. La loro religione dice altro. Per esempio, che l’anima è immortale, sì, ma nel senso che, quando il corpo muore, non viene giudicata e collocata all’inferno o in paradiso, come sappiamo noi cristiani. No. Appena liberata dal corpo, subito entra in un corpo nuovo, ma secondo certe regole: se l’uomo o la donna che la possedevano prima si sono comportati onestamente, l’anima entrerà nel corpo di una persona più importante e, di importanza in importanza, finirà per arrivare fino a Dio.
Se invece il defunto ha condotto una vita malvagia, scenderà nel corpo di un individuo meno fortunato e, di discesa in discesa, potrà finire nel corpo di un cane o di un altro animale».
«Conosco io qualcuno che meriterebbe che la sua anima finisse nel corpo di un lombrico!», ironizza Rustichello.
«Voi toscani non cambierete mai: non prendete mai nulla sul serio», finge di esasperarsi Marco, ma sorride.
«Non è vero, invece. Sai che gusto sapere che chi ti ha fatto impazzire per tutta la vita finirà nel corpo di uno di quegli scarafaggi che qui si arrampicano sui muri…», ride l’altro.
«Già», conclude il veneziano. «Ho gli occhi così pieni di Catai e della corte del Gran Khan, che a volte mi dimentico che siamo chiusi qua dentro!»
«E che è quasi l’ora della zuppa di rape, a giudicare dal colore del cielo che si vede là, in cima, nel riquadro della finestra…»