«Un finimondo…»
«Un vero finimondo. Tanto più che gli elefanti, fuggendo, si cacciarono nel folto della foresta e, in questo modo, i fortini pieni di
uomini che portavano sul dorso si fracassavano uno dopo l’altro contro i rami più grandi di quegli alberi colossali. Allora i Tartari, slegati i loro cavalli, saltarono di nuovo in sella e attaccarono con violenza i sopravissuti. Fu una lotta selvaggia perché, quando terminarono le frecce, si passò alle spade e alle mazze, vibrando colpi in ogni direzione e con tutta la forza di ognuno. Un po’ dopo mezzogiorno si incominciò a capire che la vittoria stava favorendo i Tartari: il re di Mien, temendo di perdere l’intero esercito e di essere ucciso o catturato, diede l’ordine della ritirata e ciò provocò un nuovo massacro perché i Tartari non concessero loro tregua e continuarono a incalzarli e ad abbattere i più lenti a fuggire. Poi lasciarono che gli ultimi scampati si salvassero e cercarono di catturare gli elefanti. Più facile a dirsi che a farsi! Quegli animali intelligenti ubbidiscono soltanto all’uomo che li guida e quindi, dopo molti tentativi infruttuosi, i Tartari dovettero ricorrere ai prigionieri e ordinare loro di calmare i colossi e condurli in buon ordine verso la pianura. Ne raccolsero più di duecento ed è da allora che anche il Gran Khan utilizza gli elefanti nel suo esercito».
«E in questo modo anche il regno di Mien entrò a far parte dell’impero del Gran Khan?»
«Certo, e con tutte le sue ricchezze. Ma per arrivare alla capitale, che si chiama allo stesso modo, bisogna viaggiare per diciassette giorni in mezzo a boschi fittissimi e superando montagne e valli abitate da elefanti selvatici, unicorni e ogni sorta di belve.