Ma, nel tardo pomeriggio, terminato il lavoro, tutti cercano un po’ di divertimento e di distrazione, chi facendosi portare in barca sul lago vicino, chi sorseggiando vino di riso, chi accompagnandosi con una donna in certi piccoli carri chiusi che girano per la città. E le vie sono tutte lastricate di pietre e di mattoni cotti, in modo che non ci sia fango e non ci si sporchi i piedi o gli abiti».
«Mi sembra che il Gran Khan non si fidi molto di questo Mangi…»
«Non hai torto. Affronta grandi spese per mantenere sempre notevoli forze armate nel Paese: ogni città è presidiata da soldati che, a seconda delle dimensioni dell’abitato, vanno da un minimo di mille fino a trentamila, come accade a Chinsai. Poiché le città sono milleduecento, è ovvio che questi soldati non possono essere tutti tartari: ogni anno, Kublai fa scegliere in Catai e nel Mangi gli uomini che sembrano adatti a portare le armi e li iscrive in un apposito registro. Essi serviranno nell’esercito per quattro anni, andando a presidiare città lontane da quella di origine e, in particolare, quelli del Catai andranno nel Mangi e viceversa. Al termine dei quattro anni, tornano alle loro case e sono sostituiti da altri».
«Trentamila uomini soltanto per Chinsai! Ma quanti abitanti ha, allora, questa città?»
«Il numero degli abitanti non lo conosco, ma so che vi sono, tra grandi e piccole, ben un milione e seicentomila case… Del resto, ogni abitazione reca scritto sulla porta il nome di ogni persona che vi abita e persino il numero dei cavalli posseduti: in questo modo, chi comanda in città può fare facilmente il calcolo di quanti sono sotto il suo governo. In più, gli albergatori sono obbligati a segnare nome e data di soggiorno di ogni cliente che si ferma presso di loro: il Gran Khan può così controllare in ogni momento chi va e chi viene nei suoi territori».
Rustichello scuote la testa:
«L’ho già detto e lo ripeto: quel Kublai è un gran furbacchione!»