I giorni passano; passano le settimane. La vita nella cella sarebbe insopportabile senza quella formidabile distrazione costituita dai racconti di Marco e dalle interruzioni di Rustichello.
Il capo delle guardie ogni tanto domanda:
«È finito questo libro?»
«Che te ne importa?», gli risponde Rustichello che non ha peli sulla lingua. «Se non sai nemmeno leggere!»
L’altro alza le spalle. Deve avere avuto l’ordine di rispettare quei due prigionieri. E così si prende la briga di spiegare:
«Non chiedo mica per me! È Sua Eccellenza che lo vuol sapere».
«Ebbene, digli che scrivere un libro è un lavoro lungo e delicato: quando sarà finito, glielo farò sapere…»
L’altro stringe un pugno, guardando torvo Rustichello che invece gli fa un bel sorriso beffardo. Il carceriere si ricorda in tempo delle istruzioni ricevute e si trattiene, diventando rosso per lo sforzo.
Se ne va brontolando e sbattendo la porta ferrata.
Rustichello è di buon umore:
«Bene! Di che cosa parliamo oggi?»
Marco, che ha assistito a tutta la scena e ha temuto per un momento che il toscano si fosse messo nei guai con la sua impertinenza, riprende il filo del racconto lasciato il giorno precedente: