Nel testamento della regina trovarono scritto che nessun’altra donna avrebbe dovuto prendere il suo posto, a meno che non fosse stata originaria della sua stessa regione.
Per questo motivo Argon, desiderando risposarsi, aveva inviato tre suoi nobili fino alla corte del Gran Khan perché gli chiedessero di voler acconsentire ad affidare loro una dama che avesse le caratteristiche indicate dalla defunta sovrana. Naturalmente i tre impiegarono molto tempo ad arrivare a Cambaluc ma io non potevo saperne niente perché stavo navigando sull’Oceano. I tre ambasciatori, con un seguito imponente, raggiunsero comunque la capitale
e posero con la massima cortesia la loro richiesta a Kublai. Questi si dispiacque per il lutto occorso ad Argon e propose subito come possibile sua sposa la giovane Cocacin che aveva allora diciassette anni, era molto bella ed anche della stessa regione della povera Bolgana. Naturalmente gli inviati del re, appena videro la fanciulla, accettarono subito e chiesero il permesso di ripartire immediatamente; permesso che venne loro accordato di buon grado. Si misero dunque in cammino con un grande seguito, composto dal loro e da quello della principessa e adeguato al rango di futura regina.
Purtroppo, dopo otto mesi di viaggio, scoprirono che una parte del territorio che avrebbero dovuto attraversare era percorso da due eserciti tartari in guerra tra loro. Per non far correre rischi a Cocacin, ripresero immediatamente la strada per Cambaluc ed erano quindi ancora a corte, quando io tornai dai mari dell’India».
«Forse incomincio a intuire quello che è successo…» e Rustichello resta con la bocca un poco aperta, appunto come un cane che aspetti il lancio del bastone.
Marco ridacchia:
«Bene! Allora raccontalo tu!»
«Dai, non scherzare: va’ avanti!»
«D’accordo… Il mio arrivo fece abbastanza sensazione: il Gran Khan mi ricevette subito e volle che gli raccontassi tutto ciò che avevo visto e ascoltato, e si interessava moltissimo a quei popoli lontani, alle loro stranezze e anche, devo dirlo, alle loro ricchezze…»
«Quello è un furbacchione: io ormai ne sono sicuro!»