Perché la stanza è una prigione: una prigione genovese del Milleduecento!
C’è una finestra posta terribilmente in alto e per di più con al fondo delle sbarre larghe anche più di un braccio. Da quel finestrino entra un po’ di luce e di aria, ma è impossibile avvicinarcisi e guardare fuori: si può soltanto alzare la testa, stando in basso, e vedere un rettangolo di cielo. Se si è fortunati, si coglie al volo il passaggio di un gabbiano, e così si capisce che il mondo, là fuori, continua come sempre, del tutto indifferente al fatto che in quella cella qualcuno patisca il freddo d’inverno e la calura d’estate, perché dall’inferriata spessa un pollice che blocca l’apertura della finestra può passare liberamente tanto la tramontana2 gelida, come l’afa più pesante.
Nella cella non si è mai più di tre o quattro. Sono di solito prigionieri di guerra, perché Genova, alla fine del Duecento, è in guerra perpetua: prima contro i Pisani; adesso contro i Veneziani.
E i prigionieri, man mano che vengono catturati, sono portati lì e sbattuti in quella che deve essere una torre (i muri interni formano un semicerchio). Ci devono essere molte altre celle come questa, sopra e sotto, e di fianco. I prigionieri se ne stanno lì un mese, un anno, dieci anni, a seconda di come vanno le cose in politica e anche di quanto quei disgraziati riescono a sopravvivere. Come si dice, la guerra è guerra: non si può essere molto teneri con i nemici. Questi, del resto, si comportano allo stesso modo con i genovesi prigionieri.
Si dorme per terra. Ogni tanto, quando i guardiani se ne ricordano o quando ne hanno voglia, gettano dentro un po’ di paglia. Di solito non è nemmeno sufficiente per tutti e, comunque, dormire sulla paglia o sulla terra, è sempre dormire sul duro. Il cibo? Una brodaglia dove galleggiano delle rape e neppure tutte le volte; un po’ di pane nero, quello però in abbondanza, bisogna dire; un secchio d’acqua al giorno che però deve bastare per tutti e a volte puzza in un modo orribile.

2 tramontana: vento freddo che soffia dal Nord.