«Il Meliadus!», ripete intanto l’illustrissimo che non è un fulmine di rapidità nei ragionamenti ed è rimasto un passo indietro nella conversazione. «Quando dicessi a mia moglie che teniamo qui l’autore del Meliadus e non gli diamo da leggere e da scrivere… Voi sapete come sono le donne: non avrei più pace! Contateci, Rubinello, contateci!»
«Rustichello, eccellenza, Rustichello, se non vi dispiace…»
«Rustichello! Rustichello! Io che cosa ho detto? Rustichello,no?»
e si volta verso tutti gli altri, soldati e prigionieri che, insieme, compatti, fanno di sì con la testa.
Codice, pergamena, penne e inchiostro non arrivano subito: i potenti fanno i loro comodi, magari si dimenticano le promesse e ci vuole qualche felice combinazione perché tornino loro in mente.
Prima che il materiale arrivi, la pesante porta ferrata si è aperta un paio di volte, per lasciar passare cibo, acqua e coperte (miracolo!).
La quarta volta che la sinistra serratura gira su se stessa è per scaraventare nella cella un nuovo ospite. Questo, come tutti gli altri, finisce in terra, ci rimane un momento, per riprendersi e capire dov’è capitato, poi si alza e si guarda intorno. Si sente addosso tante paia d’occhi quanti sono i prigionieri nella cella. Ma resta tranquillo.
Può avere qualcosa in più di quarant’anni. È diritto, asciutto, dal viso un po’ sciupato ma dallo sguardo acuto. Accenna un inchino, rivolto a tutti e a nessuno in particolare:
«Mi chiamo Marco, dei Polo del quartiere di San Giovanni Crisostomo, a Venezia».
Il primo a farsi avanti è proprio Rustichello: la cultura insegna, tra le altre cose, anche la cortesia verso gli sconosciuti. Tende la mano a Marco:
«Io sono Rustichello da Pisa…»
«Lo scrittore?», domanda subito Marco, guardandolo francamente negli occhi.
«Mi conosci?»
«Conosco il tuo Meliadus…»
Gli altri prigionieri sgranano tanto d’occhi: due che sappiano leggere e scrivere! E tutti e due nella stessa cella! Incredibile! Uno alla volta si presentano e cercano di darsi un tono il più civile che sia loro possibile.