Rustichello ascolta in silenzio. Forse ripensa a una scena simile capitata a Pisa ormai molti anni prima, quando si diede l’allarme generale dopo aver avvistato anche lì i genovesi.
Marco intanto continua:
«Avevamo una buona flotta; il nostro ammiraglio, Andrea Dàndolo, era un uomo esperto; conoscevamo da sempre quel mare che è la nostra via naturale per arrivare al resto del mondo. Insomma, eravamo fiduciosi. In fondo, i genovesi si erano spinti lontanissimi dalle loro basi».
Rustichello sorride amaramente:
«E invece sei arrivato qui dentro…»
«Già. È stato tremendo. Un vero disastro. Questi genovesi sanno muovere le navi come nessun altro al mondo. Potrebbero navigare in qualsiasi mare come se fosse quello davanti a casa! Dei diavoli! Venezia non ha mai subito una sconfitta simile: tutti morti o catturati. Persino il Doge è finito prigioniero!»
«L’hai più visto?»
Marco accenna di sì con il capo. Dice con fatica:
«Era di fianco a me, nella stiva13 della stessa nave che ci trasportava qui. Ma non ha accettato la prigionia: ha incominciato a battere con tutte le sue forze la testa contro il legno dello scafo,
fino a ferirsi a morte. Era impossibile trattenerlo. È spirato a due passi da me. I genovesi, per rispetto, l’hanno avvolto in un telo da vela e l’hanno gettato in acqua,come si usa con gli uomini di mare».
«Certo…»

13 stiva: parte interna della nave, dove di solito è immagazzinato il carico