I pastori indicavano dove trovare l’acqua e davano loro latte in cambio di stoffa. Poi, dopo tutti questi giorni, arrivarono a una città che si chiama Bucara1, la più grande e la più bella della Persia. Il suo re aveva nome Barac. Spiegarono a mio padre e a mio zio che, per raggiungere il mare Arabico, bisognava attraversare delle catene di monti altissimi e che erano davvero poche le carovane che si mettevano in viaggio verso quella direzione. I due si guardarono l’un l’altro e capirono di trovarsi come nel fondo di un sacco: tornare indietro non si poteva, avanzare neppure. Si trattava di aspettare con pazienza che si presentasse qualche occasione propizia. Così, restarono a Bucara per tre anni».
«Tre anni!» Rustichello sobbalza e per un miracolo non sparge macchie d’inchiostro su tutto il foglio. «Ma non se ne potevano andare?»
Marco ride di gusto:
«Ti ho detto che erano bloccati. Tu non conosci l’Oriente: si è trattati molto bene oppure molto male. Il problema è che, quando ti trattano bene, non potresti stare meglio in nessun altro posto della Terra, nemmeno a Venezia; ma, se decidono di trattarti male, ti ammazzano senza fare troppi complimenti. Così, l’importante è essere sempre molto riflessivi e non fare errori».
«Lo credo bene! Però tu hai detto prima che prendere quella direzione è stata per loro una fortuna…»
«L’ho detto e lo ripeto. Quando il terzo anno era quasi trascorso, si presentò a Bucara un messaggero di Alau».
«Quello che aveva vinto la guerra?»
«Proprio quello. Mandava questo suo ambasciatore niente meno che a Kublai, il Gran Khan di tutti i Tartari».
«Un viaggio lunghissimo…»
«Un viaggio di mesi. Ma, come messaggero di Alau, tutti lo avrebbero ospitato e aiutato. Questo ambasciatore venne a sapere che a Bucara c’erano due uomini di razza latina, come dicono di noi da quelle parti. Si incuriosì e volle conoscerli. Mio padre e mio zio gli fecero un’ottima impressione: erano entrambi esperti e capaci di dosare le parole.

1 Bucara: l’odierna Buchara, o Buhara, nell’Uzbekistan.