«È proprio così, mio caro. Gli uomini viaggiavano a dorso di cavallo ma si doveva seguire il passo dei cammelli che trasportano le merci. E il loro passo, te l’ho già detto, nessuno al mondo può affrettarlo. Poi ci sono da scalare montagne, da guadare fiumi, da attraversare valli sterminate. È impossibile averne idea, se non si è visto di persona...»
«Racconta!»
Marco ha un’esitazione. Riflette un momento, poi spiega a Rustichello:
«Facciamo così: quella stessa strada che hanno percorso, l’ho poi ripetuta anch’io con loro, qualche anno più tardi...»
Di nuovo Rustichello se ne sta con la penna in mano. Una goccia d’inchiostro cade sul pavimento.Guarda Marco a bocca aperta:
«Sei stato in Catai?»
Marco ride di cuore. Se l’aspettava:
«In Catai e in un milione di altri posti. Sentirai!»
«Tu?»
«Io! Non ti far distrarre dal fatto che adesso siamo qui, in questa cella, come due malfattori.Vedrai. I genovesi non sono stupidi: appena firmeranno la pace con Venezia,ci lasceranno andare tutti».
«Va bene, va bene», lo interrompe l’altro che sembra impiparsene assolutamente della prigionia, visto che gli dà l’opportunità di parlare con un personaggio come Marco. Lo riporta all’argomento che più gli sta a cuore. «Quindi hai visto tutto con i tuoi occhi?»
«Sì, quello e molto di più, ti dico. Per adesso ti dirò soltanto ciò che è capitato a mio padre e a mio zio. Se hai pazienza, ti descriverò i luoghi quando ti parlerò del mio viaggio...»
«Dai, allora!» e Rustichello intinge la penna nell’inchiostro, impaziente di scrivere.
«Dunque… Eravamo arrivati che impiegarono un anno per poter essere ammessi alla presenza del Gran Khan. Proprio come aveva detto il messaggero di Alau, questo sommo imperatore accolse con autentico entusiasmo due “latini”, come ti ho detto che ci chiamano in quella parte di mondo. Fece loro grande onore e volle che si sedessero ai piedi del suo trono, per poterli interrogare comodamente su quanto destava in lui la più grande curiosità».