I guerrieri siedono in terra, su magnifici tappeti, mentre, fuori dalla sala, mangiano anche più di quarantamila persone, perché in quei giorni di banchetto pubblico tutti vengono dal Gran Khan per offrirgli merci preziose, per chiedere incarichi, per ringraziare dei favori ricevuti. Al centro della sala vi è un grande scrigno, tutto d’oro puro, che ospita un vaso anch’esso d’oro e colmo di vino. Vasi più piccoli contengono latte di cavalla e di cammella. I servitori riempiono con quei liquidi dei recipienti meno capienti, capaci di trasportare il necessario per otto o dieci persone. Vengono deposti sulle tavole, uno ogni due persone, e i commensali attingono da questi con una tazza d’oro quanto serve loro di volta in volta. Coloro che servono il Gran Khan hanno sulla bocca e sul naso delle fasce di seta e d’oro, perché il loro fiato non contamini ciò che viene servito all’imperatore. Ogni volta che Kublai porta la propria tazza alla bocca, gli strumenti musicali presenti nel salone prendono a suonare tutti insieme e gli altri commensali devono inginocchiarsi in segno di sottomissione;
possono rialzarsi soltanto quando ha finito».
«Non è un po’ noioso?»
Marco guarda Rustichello con un’espressione di finta esasperazione:
«Voi toscani non avete rispetto per niente e per nessuno! È uno spettacolo solenne: non noioso! Si tratta del Gran Khan di tutti i Tartari, che diamine! Comunque, se ti può far star meglio, ti dirò che, alla fine del pranzo, si tolgono le tavole ed entrano nella grande sala giocolieri, ballerini, saltimbanchi, suonatori e ogni genere di persone adatte a intrattenere con mille giochi e destrezze tutta quella nobiltà. Si ride e ci si diverte, in un clima di assoluta distensione. Quando tutto è finito, ognuno ritorna alle proprie occupazioni».
«Andranno a dormire, dopo tutto quel vino…», mormora Rustichello, finendo di scrivere.
Ma Marco l’ha sentito:
«Un po’ di rispetto, linguaccia di un toscano!»