Il cloruro di vinile è un gas a temperatura ambiente (p. eb. –13,7 °C a 1 bar) che comunque liquefa sotto pressione, tanto che viene stoccato liquido a 2 ÷ 3 bar. Oltre ad essere cancerogeno, il VCM è facilmente infiammabile e forma miscele esplosive con l’aria. In caso d’incendio i fumi risultano tossici per la presenza di HCl. La lavorazione del VCM pone quindi seri problemi di sicurezza e di impatto ambientale. Le tecniche di polimerizzazione con cui si ottiene il PVC sono l’emulsione e la sospensione. Con la polimerizzazione in sospensione, più usata, si ottiene un polimero più puro, più trasparente e che assorbe meno l’acqua. Il PVC ha una temperatura di transizione vetrosa Tg ≈ 80 °C, è rigido, è parzialmente sindiotattico, ma, anche a causa delle ramificazioni solitamente presenti, presenta una cristallinità piuttosto bassa (5 ÷ 10%). Resiste bene alle soluzioni acquose, agli acidi, alle basi, meno ai solventi organici. Resiste poco alla temperatura, già durante la lavorazione (∼ 150°C) comincia a decomporre con meccanismo radicalico liberando HCl, per cui viene usualmente addizionato di stabilizzanti (sali di piombo, bario, stagno, ossidi ed idrossidi, ecc.) in grado di assorbire l’HCl liberato. Anche le radiazioni UV innescano queste reazioni di decomposizione. In base alle applicazioni a cui è destinato si può avere PVC rigido, PVC plastificato e il (vedi oltre). plastisol Il è il polimero privo di additivi plastificanti o con una minima quantità di resine epossidiche o di altri polimeri aggiunti meccanicamente per migliorarne la resistenza all’urto e la lavorabilità. Presenta discrete proprietà meccaniche e trova largo impiego nella produzione di profilati come tubi per acqua fredda (fino a 60 °C), tubazioni e canalette per la protezione di cavi elettrici, grazie alle buone proprietà dielettriche a temperatura ambiente e a ∼ 60 Hz e profilati vari per l’edilizia, settore che costituisce il principale sblocco per il PVC rigido e che ne condiziona l’andamento del mercato. Altre applicazioni si hanno nell’industria chimica come valvolame e altra componentistica per usi a bassa temperatura e con soluzioni acquose. Il si ottiene additivando il polimero fino al 30% con sostanze quali il diottil ftalato (DOP), il triottil fosfato, esteri del polipropilenglicol, ecc. Gli additivi costituiti da polimeri a basso grado di polimerizzazione sono preferiti rispetto alle sostanze a bassa massa molare per la maggiore permanenza nel polimero. L’uso di ftalati a bassa MM come il DOP è sottoposto a restrizione in Europa in base al regolamento REACH e dovrebbe essere bandito entro il 2015. Per il PVC alimentare o medicale, le tipologie di plastificanti sono specificatamente normate. Il PVC plastificato viene lavorato principalmente per calandratura (v. § 13.8.1 Vol. II) con cui si ottengono fogli flessibili di vario spessore. Il è una particolare tecnica per ottenere materiali compositi come le finte pelli. Il PVC, preparato per polimerizzazione in emulsione, viene ridisperso in un’opportuna miscela di diluenti e plastificanti liquidi. Il plastisol, così ottenuto, viene spalmato a freddo o spruzzato sugli appositi supporti, quindi per riscaldamento a 150 ÷ 200 °C si ha la gelificazione con dissoluzione del polimero nel plastificante e formazione di un film omogeneo. Con opportuni additivi espandenti, si possono anche ottenere espansi e schiume a struttura microcellulare. PVC rigido PVC plastificato plastisol I PVC