modulo 1 56 Haec fratri mecum non conveniunt neque placent. Venit ad me saepe clamans: «Quid agis, Micio? Quor perdis adulescentem nobis? Quor amat? Quor potat? Quor tu his rebus sumptum sugg ris? Vestitu nimio indulges ; nimium ineptus es . Nimium ipse est durus praeter aequomque et bonum, et errat longe, mea quidem sententia, qui imperium credat gravius esse aut stabilius vi quod fit, quam illud quod amiciti adiungitur. Mea sic est ratio et sic animum induco meum: malo coactus qui suom officium facit, dum id rescitum iri credit, tantisper cavet; si sperat fore clam, rursum ad ingenium redit. Ille quem beneficio adiungas ex animo facit, studet par referre, praesens absensque idem erit. Hoc patrium est, potius consuafacere filium sua sponte recte facere quam alieno metu: hoc pater ac dominus interest. Hoc qui nequit fateatur nescire imperare liberis. 60 65 70 75 (Adelphoe, atto 1 Che poi non è figlio mio, ma di mio fratello, il quale fin da ragazzo aveva un indole del tutto diversa dalla mia: [...] Io ho adottato il maggiore, l ho allevato fin da bambino, l ho considerato e amato come se fosse mio, è tutta la mia gioia e consolazione. Faccio di tutto perché mi contraccambi: gli concedo, lascio correre, non ritengo necessario che faccia tutto come voglio io e poi, quelle ragazzate che gli altri fanno di nascosto dal padre ho abituato mio figlio a non nascondermele. Perché chi avrà l abitudine di mentire a suo padre, o avrà il coraggio di ingannarlo, tanto più lo avrà con gli altri. Sono convinto che sia meglio frenare i propri figli col rispetto e con l indulgenza piuttosto che con la paura. Su questo mio fratello non è d accordo con me, non gli va. E spesso viene da me e grida: «Che fai, Micione? Perché mi rovini quel ragazzo? Perché fa l amore? Perché si ubriaca? Perché favorisci tutto questo spesandolo? Perché sei così generoso nel vestirlo? Sei davvero una pappamolla! Lui come padre è troppo severo, al di là del giusto e del lecito, e, a mio avviso, si sbaglia di grosso se crede che l autorità basata sulla forza sia più salda e sicura di quella ottenuta con l affetto. Io la penso così (e mi regolo di conseguenza): chi fa il proprio dovere per timore di un castigo, finché pensa che la cosa si verrà a sapere, sta attento; ma se spera di farla franca, torna a seguire la propria indole. Quello che ti sei conquistato trattandolo bene, agisce spontaneamente, cerca di contraccambiarti: che tu ci sia o no, si comporterà allo stesso modo. Questo è il compito di un padre, abituare suo figlio ad agire onestamente da solo, anziché per paura degli altri: è questa la differenza che c è tra il padre e il padrone. Chi non ci riesce ammetta di non saper comandare ai figli. (traduzione di F. Bertini e V. Faggi)