Unità 20 Continua la mia odissea ■ La quinta declinazione ■ Il complemento di origine L’arrogante soldato, il mio padrone, deve recarsi a Roma per consegnare una lettera all’imperatore, quindi mi vende per undici denari a due fratelli: l’uno è pasticciere, specializzato nel preparare panini e pasticcini al miele, l’altro cuoco, esperto nel cucinare piatti di carne aromatizzati con salsine. Il mio compito è quello di trasportare vasellame per le tavole imbandite nelle varie località dove allestiscono sontuosi banchetti, richiesti dai ricchi signori della zona. I due portano nella stanza della locanda, dove alloggiano, gli avanzi delle cene: panini, pasticcini, frittelline, cornetti, biscottini, cosce di maiale, di pollo, pesci squisiti. Sento profumi allettanti: “Che cose buone! Non ne posso più dell’erba”. Mi rimpinzo di tutte queste prelibatezze e i due fratelli non si capacitano della mancanza di tutte le leccornie, ma un giorno mi scoprono, guardando dal buco della serratura; mi sento preso, inceppare e divertono come matti nello scoprire che il loro asino mangia come un qualunque mortale goloso. “È un asino raffinato”, dicono, e il padrone di una ricca casa, amico dei due fratelli, allestisce un gran banchetto per me, quindi io mi abbuffo, innaffiando il tutto con un buon vino. Tutti i presenti alzano i calici e mi augurano in coro: “Salute”. Il padrone di casa, che era stato nominato magistrato quinquennale a Corinto, per festeggiare l’evento, vuole allestire giochi eccezionali nel circo con gladiatori e con belve fatte giungere da paesi esotici, quali leoni, tigri, scimmie, e mi fa ammaestrare da uno schiavo, perché costituisco anch’io un originale esemplare di asino che sa ballare, che fa la lotta, che sa mangiare e bere come un uomo, un asino che capisce il linguaggio umano. Ma io non voglio esibirmi nel circo, in me resta l’orgoglio del giovane intellettuale; preferisco morire che mostrarmi di fronte a tanti spettatori. No, non sono un animale da circo! Mi adornano con bardature dorate, con una gualdrappa di porpora, un morso d’argento e sonagli tintinnanti. La gente affolla le gradinate del circo, ma io riesco a strappare la corda che mi lega e fuggo con una corsa precipitosa, giungo ad una splendida spiaggia, mi distendo accanto agli spruzzi delle onde. Mi abbandono alla pace della sera e mi sento invadere da un dolce torpore.