L'istruzione a Roma era un privilegio dei ricchi: fin dall'età repubblicana esistevano scuole pubbliche (ludi litterarii), ma spesso i genitori affidavano i loro figli ad un maestro, di solito un greco, pedagogus, che li seguiva in casa. Era generalmente un liberto, mal pagato e poco considerato. Anche lo stesso padre amava insegnare i primi rudimenti ai propri piccini, per assicurare una continuità culturale all'interno del clan familiare.
Lezioni con tutto l'occorrente
L'istruzione avveniva per gradi: in un primo tempo nella scuola del maestro (magister), sovvenzionata dai genitori, l'alunno (discipulus) imparava a leggere, scrivere e far di conto. Nella sua cartella (capsa) c'era tutto l'occorrente: stilo (stilus), calamaio (atramentarium), penna (calamus), inchiostro nero (atramentum), inchiostro rosso (minium), tavolette (tabellae), cera (cera), sassolini (calculi), che servivano a contare. Di qui deriva la parola "calcoli". Il maestro sedeva su di una sedia con schienale (cathedra) e le lezioni si tenevano, a seconda della stagione, al chiuso (schola) o sotto un pergolato (pergula). Duravano sei ore, di mattina e di pomeriggio, con una breve interruzione per il pranzo. La scuola iniziava a marzo, mentre secondo altre fonti, a ottobre ed era previsto un periodo di riposo estivo.
LA SCUOLA DEL GRAMMATICO E DEL RETORE
Finiti gli studi elementari, il secondo ciclo durava dagli undici ai sedici anni; il grammaticus o litteratus insegnava ai ragazzi e alle fanciulle la lingua e la letteratura latina e greca, storia, geografia, astronomia. I testi poetici venivano dettati, letti e recitati a memoria in metrica1.
- metrica: teoria e pratica della verifica.